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VERSO LA GERUSALEMME FUTURA


Sono molto contento che abbiate accolto di cuore ciò che vi ho scritto nella scorsa lettera e siate d’accordo a comportarvi così. Vi aiuti il Signore!
Dio ci ha dato questa vita perché abbiamo il tempo di prepararci a quella dopo la morte. Questa è breve, quella non ha fine. Benché essa sia breve, nel suo corso si possono preparare le provvigioni per tutta l’eternità. Ogni buona azione va lassù, come in un piccolo deposito; da tutti questi depositi si forma un capitale le cui percentuali determineranno il patrimonio del risparmiatore per tutta l’eternità. Chi manda depositi maggiori, avrà il patrimonio maggiore. Il Signore dà a ciascuno secondo le sue opere.
Ecco, di questo dovremmo ora preoccuparci: di mandare là più depositi che sia possibile. E questa cura non è complicata né pesante, come testimonia lo stesso Signore dicendo: «Il mio gioco è dolce e il mio carico è leggero» (Mt 11,30).
Vi ho parlato di questo in rapporto ai pensieri che vi turbano per togliervi dalla vostra pena, quasi viveste tutta la vostra vita senza scopo se continuerete a vivere come vivete. La struttura della vita cristiana è questa: credi in Dio, nella adorata Trinità, in Gesù Cristo Signore, che ci ha salvato, e nella grazia dello Spirito Santo e, partecipando al dinamismo della grazia, i divini sacramenti della santa Chiesa, vivi secondo i comandamenti del Vangelo, animata dalla speranza che Dio, per la nostra piccola opera, secondo la misura delle nostre forze e grazie alla fede nel Signore Salvatore e alla obbedienza verso di lui, non ci priverà del cielo. Vi aggiungo tutto ciò perché vediate in quale spirito dobbiamo operare noi, che siamo cristiani. Altri, infatti, dicono: fai, fai; e altri: credi, credi. E’ necessario l’uno e l’altro: unire la fede con le opere e le opere con la fede.
La nostra attenzione, tuttavia dovrà concentrarsi particolarmente nel compimento dei comandamenti. Sei già credente? Metti in pratica i comandamenti, poiché la fede senza le opere è morta. E ringrazia il Signore, perché gli è gradito determinare il valore delle nostre opere non secondo la loro grandezza, ma secondo le nostre disposizioni interne. Disponiamoci, nella maggior parte dei casi, a compiere le opere secondo la sua volontà, così che, se vi porremo attenzione, potremo operare sempre in modo gradito a Dio. Non c’è bisogno, perciò, di andare al di là del mare – come affermano i progressisti -, ma di guardarsi intorno ogni giorno e ogni ora. Dove vedrai impressi i comandamenti, adempi subito, nella convinzione che questa opera – e non un’altra – esiga da te, in questo momento, Dio stesso.
Operate per radicarvi più profondamente in questa convinzione. Appena sarà radicata, comincerà a scendervi nel cuore la pace propria della convinzione che state servendo il Signore. Questo inizio comprende tutto. Persino quando vi chiederanno di rammendare il calzino del vostro fratello minore – e lo farete in nome dei comandamenti del Signore: ubbidire e aiutare -, questo sarà aggiunto alla somma delle opere gradite a Dio. Sarà così per ogni passo, per ogni parola, per ogni movimento e per ogni sguardo; tutto può diventare un mezzo per vivere secondo la volontà del Signore e perciò, un passo verso l’ultima mèta.
I progressisti hanno preso di mira tutta l’umanità o, per lo meno, tutto il proprio popolo per intero. L’umanità e il popolo, tuttavia, non sussistono come una persona perché si possa far qualcosa per loro, ora. Essi sono composti di singole persone: facendo qualcosa per qualcuno lo facciamo per tutta l’umanità. Se ognuno, senza volgere lo sguardo all’umanità in generale, facesse il possibile per chi ha di fronte, tutti gli uomini, nel complesso, in ogni momento, otterrebbero ciò di cui necessitano tutti i loro bisogni e, soddisfacendoli, compirebbero il bene di tutta l’umanità composta di abbienti e non abbienti, di ricchi e poveri. Si ha, invece, in mente il bene di tutta l’umanità, e poi si disattende chi si ha di fronte e ne vien fuori che non si ha la possibilità di operare universalmente; si disattende ciò che è particolare e così non si fa nulla per lo scopo fondamentale della vita.
A San Pietroburgo mi raccontarono questo episodio. Un gentleman, ad una riunione di questi giovani impegnati per il bene universale – eravamo nel culmine del delirio progressista -, tenne un forte discorso sull’amore verso l’umanità e verso il popolo. Tutti ne rimasero ammirati. Poi fece ritorno a casa. Un uomo che lo serviva, lo indispose poiché non gli aprì la porta subito, poi perché non gli diede subito la candela, poi accadde qualcosa alla canna fumaria, ed era freddo nella stanza… Alla fine, il nostro filantropo non ce la fece più e diede una lavata di capo al servitore. Quello replicò e questo gli diede un colpo al petto. Ed ecco li nostro giovanotto: là si riscaldava d’amore per l’umanità, e qui non riusciva neppure a comportarsi con un uomo come di dovrebbe. E, al tempo del primo scoppio del delirio progressista, delle ragazze, occupate in una tipografia, non di rado lasciavano le loro madri senza un pezzo di pane, mentre tutti sognavano di andare avanti e di lavorare per il bene dell’umanità. La rovina è venuta da un’ampiezza di orizzonti troppo grande. E’ meglio abbassare gli occhi umilmente, guardarsi sotto i piedi e distinguere come e dove volgere il passo seguente. Questo è il cammino più giusto.
Vi ripeto ancora che vi parlo di tutto ciò perché vi rimanga impresso nella memoria, proteggendovi così dall’annebbiamento che portano all’anima i sogni progressisti.


                                                                                                                                     Teofane il Recluso
                                                                                                                                               lettera XVII

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