di Alberto Gandolla
I dati storici intorno alla vita del Beato
Manfredo, come di molti altri personaggi del medioevo, sono scarsi. Fonti contemporanee
non esistono e i racconti su di lui sono scritti rinascimentali basati sulla
tradizione orale. Di sicuro appartiene alla nobile famiglia milanese dei
Settala, diventa sacerdote e poi parroco di Cuasso e dei villaggi vicini,
presso il ramo sud-occidentale del Ceresio, si sente in seguito chiamato alla
vita eremitica e si ritira sulle alture del Monte San Giorgio, dove muore il 27
gennaio 1217; il suo corpo riposa nella chiesa plebana di Riva san Vitale.
Attorno alla vita dell’umile Beato sono poi
tramandate una serie di belle e commoventi vicende, come per esempio la
trasformazione di sassi in pane in occasione di una carestia, la maturazione
istantanea delle spighe d’orzo piantate dagli abitanti di Riva San Vitale nel
campo della frazione di Albio, oppure il fatto spesso molte persone salissero
al suo eremo per cercare aiuto e consiglio. Un esempio particolare: gli
abitanti di Olgiate Comasco, colpiti da una mortale epidemia, salgono da
Manfredo che però li reindirizza per essere liberati dalla pestilenza alla
tomba di San Gerardo, appena deceduto a Monza.
Al momento della morte del Beato, poi, le campane
delle chiese ai piedi della montagna cominciano a suonare da sole. Non si sa
dove seppellirlo e allora si affida la scelta… a Dio stesso: si mette il suo
corpo su un carro trainato da due buoi, che alla fine si fermano davanti all’antica
chiesa di Riva.
Quest’anno ricorre l’ottocentesimo anniversario della
morte del Beato Manfredo e fra i vari festeggiamenti è bello segnalare una
fresca pubblicazione. Esiste una grande tradizione di romanzi storici, o di
storia romanzata, anche nell’ambito di scrittori cristiani; da ricordare nel
novecento Louis De Wohl o Jan Dobraczynski. Anche alcuni storici si sono
cimentati in opere di questo tipo: Franco Cardini nel suo romanzo “L’avventura di un povero crociato” ammette
di aver avuto la sensazione di “toccare” la verità più di quando l’avvicina con
i soli strumenti della ricerca storica.
Nel nostro caso l’autore di “La via della solitudine. Manfredo Settala sacerdote ed eremita” è
Michele Di Monte; l’aspetto veramente interessante è che lui stesso è un ancor
giovane sacerdote ed eremita ambrosiano, residente nei pressi di Lecco. E il
libro, dice Di Monte nell’introduzione, è scritto «con lo stile semplice del
racconto, per raggiungere tutti, perché la storia di un santo è di tutti e per
tutti». La dedica è a padre Gabriel Bunge (eremita a Rovereto Capriasca), «…che
mi insegna a trasformare la solitudine in comunione» e alla parrocchia di Riva
San Vitale «che ha conservato la devota memoria del Beato Manfredo, dono per
tutta la Chiesa».
Di Monte dunque ha studiato la letteratura
esistente sull’eremita medievale, conosce la tradizione orale e il suo culto
contemporaneo e ha composto un’opera romanza originale, con lo scopo di far
conoscere e amare il percorso umano reale e possibile del Beato. I pochi dati
storici sono ripresi e ampliati, altri momenti della sua vita sono immaginati.
Manfredo vive in tempi difficili. Nella Lombardia
della seconda parte del XII secolo vi è la grande lotta fra papato e impero,
fra Federico Barbarossa e Milano e gli altri comuni. Il futuro Beato nasce in
una famiglia nobile e il padre Passaguardo avvia il figlio Manfredo alla
carriera ecclesiale, pensando per lui future importanti cariche. La vicenda di
Manfredo, il suo progressivo desiderio di rinunciare a un brillante percorso
nella Chiesa a favore di un’umile vita contemplativa avviene dunque in mezzo a
violenti conflitti politici. Di Monte nel suo racconto avanza plausibili
motivazioni per giustificare alcuni particolari momenti della sua vita: come
mai, per esempio, un nobile sacerdote viene mandato come semplice parroco in un
piccolo paesino dell’alta Valceresio, a Cuasso nella pieve di Arcisate? E, soprattutto,
cosa aveva spinto Manfredo a rinunciare a importanti cariche (Di Monte l’immagina,
ad un certo punto, diventare giovane segretario dell’arcivescovo)?
Queste vicende personali sono intrecciate con il
racconto di alcuni avvenimenti del tempo; così è accennato anche l’assassinio
del primate d’Inghilterra Thomas Becket nel 1170, la vittoriosa battaglia di
Legnano nel 1176 dei milanesi contro l’imperatore, la caduta di Gerusalemme nel
1187 e l’inizio della terza crociata. Alla fine del libro l’autore in appendice
svolge delle brevi documentazioni storiche sul contesto sociale, economico ed
ecclesiale del tempo, come pure sul fenomeno dell’eremitismo e in particolare
su quanto si può veramente sapere del Beato Manfredo.
Un bel libro scritto dunque con una sensibilità
speciale: forse solo un altro attuale prete ed eremita ambrosiano – come dice
il parroco di Riva don Carlo Scorti nella prefazione – poteva far rivivere la
vita e la presenza viva di un sacerdote ed eremita di 800 anni fa.
* Articolo apparso sul Giornale del Popolo di sabato 21 gennaio 2017
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