Nella Sacra Scrittura il deserto è descritto come un luogo inospitale e «selvaggio, dove non si può seminare, non ci sono fichi né vigne, non melograni e dove non c’è acqua da bere»[1]. Un luogo in cui è difficile sopravvivere, figuriamoci vivere in modo stabile.
Eppure Dio fa di
un posto così arido e disagevole il luogo privilegiato della sua rivelazione e
della sua vicinanza all’uomo, fino a farlo assurgere a simbolo del riscatto
escatologico. Nel deserto Dio pianterà «cedri
e acacie, mirti e ulivi, olmi e abeti»[2]. Quando
Dio è presente il deserto rifiorisce e torna ad essere giardino.
Qualche anno fa,
quando ero ancora un giovane studente in teologia, mi fu regalato uno di quei
libri fotografici monotematici sui deserti del mondo. Tenendo il libro fra le
mani pensai: ci vuole coraggio a fare un libro soltanto con delle foto sul
deserto: sarà tutto uguale!
In realtà i
deserti del mondo sono molto diversi tra di loro. Ve ne sono di sabbia, di
sale, di pietra e persino di Ghiaccio e sono presenti in almeno cinquantatré
paesi del nostro pianeta. Sono tutt’altro che monotoni e presentano una vita
nascosta che sorprende e stupisce. Spesso, sfruttando la preziosa acqua che
scende dal cielo in stagioni particolari, una piccola oasi o anche
semplicemente la scarsa rugiada della notte il deserto si ricopre di fiori di
rara bellezza.
Pensando alle sante eremite che vissero nelle aspre solitudini del deserto, vengono alla mente gli splendidi fiori del deserto che, come queste donne, sbocciano e diffondono il loro profumo unicamente per Dio. Pensiamo, ad espio, alla rosa del deserto, conosciuta anche come Oleandro del Madagascar, e alla delicata Ambrosia. Fiori di rara e inusitata bellezza che rapiscono il cuore e infondono gioia di vivere. Si, perché il deserto, quando è abitato dall’Amore e dalla Bellezza, non è più un luogo di morte, ma di vita. Infatti non si muore d’amore, ma per l’assenza di amore.
In
questo piccolo volume offriamo, per la prima volta in italiano, la vita di
santa Pothini, una santa eremita morta nella prima metà del secolo scorso, ma
molto simile alle grandi amma del deserto del IV e V secolo.
A questa
straordinaria figura ho voluto far seguire le vite di due sante dell’antichità,
santa Maria-Marino e santa Maria egiziaca, che possono aiutare il moderno
lettore occidentale a comprendere alcuni tratti della figura di Pothini che
altrimenti potrebbero essere facilmente fraintesi o del tutto incompresi.
Tre donne molto differenti
tra di loro, per provenienza e stile di vita che, in epoche diverse, unite dal
medesimo amore per Dio, scelsero la parte migliore e si ritirano nel deserto di
Giuda e di Siria a condurre vita eremitica. Qui, come splendidi fiori
profumati, vissero unicamente alla presenza di Dio, fino al giorno della loro
morte.
In
un mondo e in una chiesa in cui la desertificazione della mediocrità, del non
senso e dell’oggettivamente brutto si fanno vacuo randagismo, un libro come
questo ci spinge a volgere gli occhi altrove. A Distogliere l’attenzione dagli
intrighi di palazzo, dagli scandali oramai divenuti abitus, dalle parole vuote
come grembi sterili, dall’ateismo dei porporati e delle università teologiche,
dall’ecologismo che si fa spiritualità; e a volgere gli occhi alla semplicità
disarmante del deserto, a quelle voci che gridano sommesse l’irrompere del
Regno dei cieli sulla terra[3], a
quei fragili fiori, sconosciuti al mondo e tanto amati da Dio.
Se il deserto del
peccato e della mediocrità avanza inesorabile, l’unico modo di arrestarne il passo
è quello di piantare un giardino. Di affiancarci all’opera originaria del Dio
creatore[4] e lasciare che i morti seppelliscano i loro
morti[5]
per seguire l’unico Signore della storia, Vivo e vivificante. Volgiamo gli
occhi a questi splendidi fiori del deserto e cominciamo a vivere, anche noi,
unicamente per Dio.
Non importa in
quale deserto della vita ti trovi in questo momento o quali aridità tu stia
attraversando. Alza lo sguardo dalla mediocrità che ti circonda, smetti di r-esistere
e comincia ad esistere volgendo lo sguardo su Cristo Gesù, autore e
perfezionatore della nostra fede[6] e
a quei santi eremiti e monaci che ne sono il puro riflesso. Infatti, per
riprendere una felice espressione del noto bizantinista Michel Kaplan: «Non c’è alcun dubbio: colui che può
intercedere a favore dell’uomo, guarirlo sia fisicamente sia moralmente, che è
vicino a Dio e sarà accolto nel suo Regno, non è il sacerdote, né il vescovo, ma
è il monaco. Come le icone sono l’immagine del Cristo, della Madre di Dio e dei
santi, altrettanto la vita monastica rappresenta l’immagine dell’autentica vita
cristiana»[7].
Nell’antichità,
come ancora oggi nell’oriente cristiano, non esisteva una teologia dei
ministeri, perché l’unica teologia era ed è quella del battesimo. Nella Chiesa
non vi una separazione basata sugli stati di vita (benché questa distinzione vi
sia), ma vi è una distinzione basata sulla maggiore o minore radicalità con cui
si vive la vita cristiana. Chi vive la propria esistenza da cristiano con più
radicalità ha un’autorità e un’autorevolezza maggiori. Questo è il monaco santo,
uomo o donna che sia.
Nel panorama delle grandi figure del monachesimo che le edizioni Monasterium stanno offrendo alla devozione e alla meditazione dei lettori italiani, non potevano mancare le sante donne[8] che, insieme ai santi uomini, non hanno nessun centro e nessun podio da contendersi o da dividersi, poiché sono ben liete di lasciarlo all’unico che ha il diritto di occuparlo: Gesù Cristo.
[dall'introduzione di padre Michele Di Monte]
[1]
Nm 20,5.
[2]
Is 41,19
[3]
Gv 1,23.
[4]
Gen 2,8.
[5]
Lc 9,60.
[6] Eb 12,2.
[7] M. KAPLAN, Bisanzio. L’oro e la porpora, Trieste 1993, pp.125-126.
[8] Cfr. Madri spirituali dell'antica Irlanda, a cura di A.M. Osenga, Monasterium, Cellio 2019.
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