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IL LIBRO DELLE VISIONI DI SANTA ELISABETTA DI SCHONAU


Il libro delle visioni di Elisabetta di Schönau. Recensione di Paolo Gulisano


Il XII secolo fu una delle epoche più importanti della storia della Chiesa. Un’epoca di cambiamenti, di riforme, di grandi santi – come Bernardo di Chiaravalle o Ildegarda di Bingen –  o di eretici come Abelardo o Arnaldo da Brescia. Era un tempo che vedeva la Chiesa divisa: papi e antipapi si scomunicavano a vicenda. Un uomo come  Bernardo denunciava che il corpo mistico di Gesù Cristo era lacerato da una ferita così grave che anche i migliori rimanevano dubbiosi su quale delle due parti schierarsi, ed egli si consacrò interamente per comporre i dissidi e per la felice riconciliazione e unione degli animi. Anche in campo politico i sovrani per ambizione di dominio terreno, erano separati da spaventose discordie. L’unico rimedio a questi mali era la santità, e tra i santi più importanti ci fu anche Elisabetta di Schönau, che di Ildegarda fu discepola e sodale.
Di nobile famiglia Elisabetta nacque con ogni probabilità a Bonn, in Renania, nel 1129. Poteva avere dodici anni quando i genitori, di cui si conosce soltanto il nome del padre, Hartwig, l’affidarono per l’educazione alle monache della doppia abbazia benedettina di Schönau sul Reno, nei pressi di Sankt Goarshausen, dove ella prese poi il velo e fece la professione religiosa nel 1147. Dieci anni più tardi venne eletta magistra, ossia superiora delle monache che non avevano badessa poiché dipendenti dall’abate, che era allora Egberto, fratello della stessa Elisabetta, il quale esercitò sempre grande influenza su di lei e ne fu anche consigliere spirituale e suo primo biografo. Tra i suoi parenti più immediati, dei quali rimane il ricordo, si hanno un altro fratello, di nome Ruggero, premostratense, che fu prevosto a Pòhlde (Sassonia), ed il nipote Simone, che divenne a sua volta abate di Schònau.
Reduce da una grave malattia nel 1152, Elisabetta cominciò ad avere visioni ed estasi, durante le quali si trovava a parlare con Nostro Signore, con la Madonna e con i santi del giorno, estasi che duravano talvolta parecchie settimane e che a mano a mano debilitarono talmente il suo fisico, cagionevole peraltro sin dall’infanzia, da condurla, appena trentacinquenne, alla tomba nella stessa Schönau il 18 giug. 1164. Scrisse così il suo Libro delle visioni, ora finalmente riproposto e pubblicato per la prima volta in Italia meritoriamente dall’Editrice Lindau. Un’opera che rappresenta un vero classico della spiritualità medievale. L’editore ha colmato questa vistosa lacuna della pubblicistica religiosa con l’aiuto di padre Michele Di Monte, eremita e studioso di Patristica e di Spiritualità orientale. Padre Michele ha dunque curato questa edizione dell’opera della suora Renana visionaria e mistica, impreziosendola con un saggio introduttivo e una profonda riflessione sulle rivelazioni private nella Chiesa di oggi. Nell’introduzione padre Michele ci offre una interessantissima disamina delle vicende del XII secolo, quando esplose nella Chiesa di Roma un impetuoso desiderio di Libertas. Un desiderio che in realtà finì per diventare – come spiega bene padre Di Monte – la richiesta che il mondo si prostri ai suoi piedi piuttosto che il mondo si prostri al Signore.  Ciò “modificò il corso della storia d’Occidente, dando vita per la  prima volta nella storia del mondo a uno Stato laico e al secolarismo”. Triste corollario di questa pretesa e ambigua Libertas è il fenomeno attuale della papolatria. Eppure qualche ammonimento era giunto alla Chiesa del tempo, e Le Visioni di Elisabetta ne furono un esempio. 
Su suggerimento del fratello Egberto, Elisabetta tenne un diario delle sue visioni. I tre Libri visionum risultanti, furono molto diffusi nel Medioevo e si copiarono in numerosi manoscritti; il Liber viarum Dei (“Libro delle vie di Dio”), compilato ad imitazione della Scivias di sant’Ildegarda ed incentrato sulla necessità della penitenza e di una riforma morale della Chiesa; le Visiones de resurrectione beatae Mariae Virginis, sull’Assunzione di Maria Vergine in corpo ed anima dalla terra al cielo; il Liber revelationum de sacro exercitu virginum Coloniensium, redatto fra l’ottobre del 1156 e l’ottobre del 1157, in cui tratta in termini assolutamente fantastici di sant’Orsola e delle undicimila vergini martiri, contribuendo significativamente alla diffusione della leggenda.
Nei vari scritti di Elisabetta di Schönau si sente assai chiaramente l’influsso del fratello Egberto: ad esempio, nella questione dello scisma provocato dall’imperatore Federico Barbarossa, appoggiato da Egberto, con l’elezione nel 1159 dell’antipapa Vittore IV in opposizione a papa Alessandro III.
Si conservano anche ventitré lettere, dirette a vescovi, abati, monache (tra cui sant’Ildegarda), scritte dal 1154 all’anno della sua morte. Nell’epistolario si registra un linguaggio duro per stigmatizzare i vizi dell’epoca, in vivo contrasto con la sua infantile semplicità.
Elisabetta fu fatta segno di particolare venerazione già da viva ed ancor più dopo la morte. Nel 1584, durante il pontificato di papa Gregorio XIII il suo nome fu iscritto nel Martirologio Romano alla data del 18 giugno.; nel 1854, poi, il suo ufficio liturgico fu inserito nel proprium della diocesi di Limburg. Gli Svedesi nel 1632 profanarono le sue reliquie e si poté salvare soltanto il capo, ora venerato nella parrocchiale di Schönau.
Le Visioni di Elisabetta ci trasmettono una nostalgia per l’ideale cristiano dei suoi tempi, l’ideale seguito da Bernardo, da Ildegarda, da altri mistici e asceti: Il loro ideale di perfezione era semplice e chiaro: occorre piangere su se stessi, rallegrarsi in Dio, servire il prossimo. Essere cioè graditi a Dio, prudenti verso se stessi, utili a chi si incontra. Tanta preghiera e tantissimo lavoro.
Ma non basta: a se stessi occorre chiedere un supplemento di fatica: uno studio profondissimo delle Scritture e delle opere dei Padri della Chiesa, e la contemplazione.  Le Visioni ci portano a intuire che il Sommo Vero si presenta come luce che illumina le menti, fiamma della carità che scalda gli animi, come dottrina, ovvero rette norme per la condotta morale. È questa la vera sapienza, che supera ogni umana realtà e tutto riconduce alla propria fonte, cioè a Dio, per convertire a lui gli uomini. Con Il libro delle Visioni Elisabetta ci ha consegnato un tesoro di elevatissima spiritualità, da cui possiamo ancora oggi trarre conforto nell’aridità della nostra società; la monaca renana ci offre la possibilità di gettare uno sguardo contemplativo sulla Gerusalemme Celeste, invitandoci alla purezza di cuore, alla preghiera e all’unione con Dio.

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