Sarebbe troppo lungo citare tutte le spiegazioni
dell’Anziano su questo argomento. Per lui la preghiera era importantissima.
Egli si era interamente votato a lei. Tutta la sua vita, la sua evoluzione,
l’applicazione, la foga, lo zelo, gli sforzi e tutto il suo essere erano
sottomessi alla preghiera. Noi altri, umili, poveri e deboli per natura e per
condizione, come possiamo descrivere questi misteri inaccessibili, così
difficili da raggiungere e di cui siamo ignoranti?
Abbiamo osservato la sua vita dall’esterno, così
come il modo impietoso che usava verso se stesso, e ne abbiamo ricavato
un’impressione in base al suo comportamento. Tuttavia, chi potrebbe descrivere
il suo mondo interiore, i suoi gemiti silenziosi e tutto ciò che offriva giorno
e notte a Dio?
Attraverso l’espediente delle richieste ragionevoli
potemmo ricavare qualche concessione nell’ambito della vita pratica che lo
preoccupava. In nessun modo, però, potemmo farlo cedere in ciò che riguardava
l’ordine e la regola della preghiera. L’osservanza minuziosa, la perseveranza
nell’opera divina della preghiera, testimoniano la grandezza del suo zelo e i
risultati che ne derivano erano evidenti. Secondo il giudizio dei Padri, il
segno più evidente della spiritualità di un’anima è la preghiera continua come
stato spontaneo e non come risultato di sforzi volontari.
L’Anziano, di eterna memoria, cha ha costruito la
nostra educazione, insisteva molto sul valore e l’abbondanza dei frutti della
preghiera. Spesso sottolineava: «E’ la stretta osservanza di questo
comandamento e gli sforzi impiegati nella preghiera che vi apriranno le porte
della preghiera», o ancora: «Questo difetto sarà per voi un ostacolo nella
preghiera».
Attraverso le lettere pubblicate dal nostro caro
fratello, l’igumeno del santo monastero di Filoteu, possiamo constatare la cura
particolare che l’Anziano metteva nella preghiera. «La preghiera mentale è per
me come un mestiere, scriveva l’Anziano ad un giovane; infatti, vi lavoro da
più di trentasei anni», ossia, dal principio della sua vita monastica fino a
quel momento. La facilità con la quale l’Anziano descriveva in dettaglio questa
virtù eccellente, iniziando dal suo apprendistato, e passando per i diversi
stadi, fino a giungere all’illuminazione e al rapimento nel quale conduce
quelli che si impegnano a praticarla con zelo, testimonia il suo progresso in questo
campo, ottenuto con la Grazia
di Dio, così come nell’intelligenza dei misteri e delle qualità proprie della
preghiera.
In un’altra lettera egli descrive la natura
particolare della preghiera, scrivendo fra l’altro: «All’illuminazione seguono
l’interruzione della preghiera e le frequenti contemplazioni; il rapimento
dello spirito, la cessazione dell’attività dei sensi, l’immobilità e il
profondo silenzio delle membra, ed infine l’unione di Dio e dell’uomo in un
solo essere».
La pace dei pensieri (loghismoi), l’incontro con un altro mondo, il profondo riposo e la
tranquillità delle membra, la sensazione di una leggera brezza, l’impressione
di essere inondato di profumo spirituale, la luce increata che supera ogni
candore: tutto questo faceva parte delle sue abituali esperienze e spesso ce ne
parlava.
Si caratterizzava anche per la facilità con la quale
descriveva le diverse tentazioni incontrate durante il combattimento
spirituale, soprattutto nella via della pratica. Tali erano le impronte e le
prove del valore eterno della tradizione patristica, che si può seguire e che
si prolunga senza interruzione e senza alterazione dai primi secoli ad oggi.
La qualità paterna della Grazia della preghiera
autentica, ricevuta dall’Anziano, era coronata dalla comunione con la
sofferenza dell’umanità. La viveva intensamente, come noi constatammo,
praticamente senza discontinuità. Spesso lo vedevamo immergersi tranquillamente
in se stesso. Allora sembrava che non fosse più tra noi. L’espressione del suo
volto si modificava, sospirava leggermente, rattristato. «Che cosa ti succede,
Ieronda[1]?»,
gli domandavamo nella nostra curiosità giovanile. «Qualcuno soffre, ragazzi
miei»,ci rispondeva.
La conferma di questo fatto arrivava sempre qualche
giorno dopo, quando ricevemmo una lettera che recava la notizia di qualche
dolore.
«Come avviene, Ieronda, che quelli che pregano sono
più vicini degli altri?» Infatti, costatavamo che sentono maggiormente il loro
prossimo quelli che, tramite la preghiera, ne sono concretamente vicini, anche
se nascosti e sconosciuti. L’Anziano con le sue parole ci dimostrava
l’universalità della preghiera, principale fattore dell’ecumenicità[2].
Con la preghiera si realizza l’unione perfetta di tutti in Dio. Può darsi che
qualche volta gli mancasse la capacità di potersi esprimere con termini
filosofici propri della teologia quando parlava di ciò che sentiva. Ma, in modo
attraente, frutto della libertà della sua esperienza, ci sminuzzava ogni
aspetto del combattimento spirituale della vita in Dio in un modo generale e
anche, più in particolare, tutto quello che si riferiva alla preghiera. «L’inizio
del progresso verso la preghiera pura – ci diceva – è il combattimento contro
le passioni: è impossibile, per quelli che ne sono preda, progredire nella preghiera.
Durante il durissimo combattimento contro le passioni, mentre il combattente
lotta metodicamente e con diligenza, può accadere che le passioni trionfino,
sia a causa della mancanza d’esperienza, visto il carattere sconosciuto della
lotta, sia a causa della debolezza. Malgrado tutto, quella non ostacola la
presenza della Grazia della preghiera. La vittoria della Grazia, tuttavia, è
impossibile quando il dominio delle passioni deriva dalla negligenza o quando è
implicata la vanità. Lo spirito, nella misura in cui è libero dalle passioni,
aiutato dalla Grazia, ritrova coraggio e forza per combattere i pensieri (loghismoi) e restare perseverante nella
preghiera e nella contemplazione di Dio».
Tutto ciò che abbiamo visto fin qui, l’Anziano lo
considerava come momento iniziale della prassi. Egli attribuiva la preghiera
autentica, o piuttosto la contemplazione, quale dono perfetto di Dio, al
periodo della purificazione del cuore che segue l’illuminazione dello spirito.
L’attenzione del cuore nella preghiera prolungata e ininterrotta, costituisce
il più difficile di tutti gli esercizi ascetici e di tutti i combattimenti.
Essa provoca una sensazione durevole all’interno del cuore. Parallelamente,
anche lo spirito, per il suo dolore (penthos)
ininterrotto, recupera l’illuminazione naturale divenendo «spirito di Cristo»
(1 Cor 2, 16), quando la sensazione di Dio, dimorante e agente nell’uomo, lo
trasporta, piccolo e limitato quale è, nella sfera della rassomiglianza a Dio: «Ho
detto: Voi siete dei, siete tutti figli dell’Altissimo» (Sal 81, 6). Di
conseguenza, come una totalità universale, egli ingloba il prossimo in lui e
comunica con lui: «Rallegratevi con quelli che sono nella gioia, piangete con
quelli che sono nel pianto» seguendo la frase dell’Apostolo (Rm 12, 15).
Per assicurare le condizioni pratiche richieste per
la preghiera, necessarie per un buon inizio, soprattutto quando manca
l’assistenza di un Anziano esperto, l’Anziano insisteva sulla ricerca
dell’esichia, la reclusione, l’isolamento e tutto ciò che vi si rapporta.
Tuttavia non attribuiva la riuscita di questo santo disegno a questi fattori,
ma essenzialmente all’incontro personale con Dio e al rimanere continuamente
con Lui.
«L’uomo, diceva, che si mette in cammino verso Dio
nella sottomissione e nell’obbedienza, con una fede retta, si porta
all’incontro e alla dimora costante con Lui: ciò si chiama “teologia”». Mi
sforzo di esprimere la grandezza e l’ampiezza della perfezione spirituale in
Cristo, come l’ho vista e sentita dal nostro Anziano. Ricordo che questa non è
cosa facile da compiersi, né è alla portata del primo venuto, in modo
improvvisato. Alludo alla “moda” attuale che hanno i sedicenti “specialisti”
autoproclamati, che parlano senza conoscenza della preghiera mentale, della
luce increata, della deificazione, ecc. Costoro sono uomini ignoranti, non
iniziati, mancanti di esperienza nel campo della fede e della vita cristiana
conforme ai Santi Padri; essi si illudono, e sbagliano. Si appoggiano su una
conoscenza intellettuale più che su una esperienza vissuta. La realtà del
cristianesimo non è nella magia, né nello yoga, né in qualunque metodo strano e
contrario al cristianesimo.
Il cristianesimo non è una questione di
sperimentazione o una chimera intellettuale, destinato ad ottenere in noi un
risultato, frutto d’immaginazione o una pseudo sensazione quale sarebbe una
sedicente contemplazione di Dio.
Non si può contemplare Dio da lontano; Egli fa la
sua dimora nelle anime purificate e diviene percettibile a partire dalle sue
energie increate. Il vero cristiano si basa in primo luogo sul comandamento di
Cristo: «Amerai il Signore tuo Dio, con tutto il tuo cuore, con tutta la tua
anima, con tutta la tua forza e con tutto il tuo spirito, e il tuo prossimo
come te stesso» (Lc 10, 27). Contemporaneamente si allontana con tutte le sue
forze dal male in generale e da suo padre, il demonio, «detestandoli con odio
implacabile» (Sal 138, 22). Si affretta, con l’anima come con il corpo, a
metterli in pratica. Se l’uomo si stabilisce con molta umiltà e timore in
questa disposizione incontrerà il Dio rivelato, con l’aiuto di quella Grazia
con la quale ha compiuto questi precetti. «Se uno mi ama, osserverà la mia
parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso
di lui» (Gv 14, 23), ha detto il Signore. I veri fedeli sperimentano la
comunione con Dio e risentono in modo organico l’energia delle influenze
divine, poiché portano in tutto il loro essere, incessantemente, questo Dio al
quale credono e che adorano. «Abiterò in mezzo a loro e con loro camminerò e
sarò loro Dio ed essi saranno il mio popolo» (2 Cor 6, 16; Lv 26, 11-12).
Poiché, «come gioisce lo sposo per la sposa, così il tuo Dio gioirà per te» (Is
62, 5b). Ho fatto questa piccola digressione volontariamente, pensando a quelli
che, senza curarsene, ignorano la verità della fede secondo la quale la Grazia visita colui che
crede e si pente della colpa. La
Grazia divina lo trasporta «dalla morte alla Vita[3]»,
rivelandogli tutti i suoi misteri, non soltanto in teoria, come ad uno
spettatore che contempla una visione, ma anche nella sua concretezza, in modo
organico, trasfigurandolo «di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito
del Signore» (2 Cor 3, 18).
Punto di partenza di questo splendore spirituale è
il pentimento, e la principale forza è la preghiera. A questo proposito il
grande asceta San Macario d’Egitto, nella sua omelia Sulla custodia del cuore si esprime così: «Il punto capitale dello
sforzo verso il bene e il culmine degli atti virtuosi è la perseveranza nella
preghiera, con la quale possiamo chiedere a Dio e ottenere ogni giorno le altre
virtù»[4].
Egli dice allora: «Se non abbiamo interrotto l’opera della preghiera e della
speranza, non peccheremo più[5]»,
e nel suo opuscolo Sulla Preghiera: «L’opera
della preghiera e della parola fatta come conviene è al di sopra di tutta la
virtù e dei comandamenti»[6].
Per natura, la preghiera racchiude una grandezza
indicibile perché, legame e intermediaria fra Dio e le creature, contiene
infinite possibilità. Mi manca il tempo per raccontare i cambiamenti e le
variazioni della volontà e delle decisioni divine, la sospensione delle minacce
di Dio, l’accelerazione delle promesse, il sollievo dei mali, la salute di
tutti o di qualcuno, di cui fu causa, come appare in numerosi brani della Sacra
Scrittura.
La preghiera è l’ancora di salvezza permanente
dell’umanità che soffre. Se gli uomini non pregano, la fine della vita sulla
terra avviene automaticamente in ragione della conflagrazione del male
universale, e allora, in verità, non vi sarà «più indugio» (Ap 10, 6).
L’Anziano definiva la preghiera come se fosse la
lingua del mondo futuro. Ma quella dell’epoca attuale è diversa? Quante lingue
e dialetti differenti usa l’umanità? Alcuni di questi, però, non sono
autentici, perché ignorano la verità per eccellenza. A cosa servono certi
idiomi, se non per esprimere i desideri e le inclinazioni degli uomini? Quale
desiderio, quale inclinazione è tanto positiva quanto quella di Dio e
dell’eternità? Queste due cose sono ricapitolate nell’amore per Dio e per il
prossimo; il mezzo, la voce per raggiungerli, è la preghiera.
L’insistenza sulla preghiera può sembrare eccessiva,
tuttavia, conoscendone l’importanza come virtù perfetta, vi insisterò ancora,
per il bene del singolo e per quello dell’umanità intera, desiderando di
ottenere miglioramenti e riuscita. Durante l’esodo, al tempo di Mosè, vediamo
lo smarrimento generale dei Giudei che in un certo modo obbliga la giustizia
divina a distruggerli, ma sono inaspettatamente salvati dai castighi con la
preghiera. Lo stesso Dio spinge Mosè a pregare, per perdonarli e salvarli: «Lasciami»
(Dt 9, 14), e: «li distruggerò in un istante» (Nm 16, 2; 17, 10). I Padri
interpretano «supplicami», come «lasciami». Poiché, quale altro significato può
avere «lasciami»? Mosè lo sapeva? Bisogna allora capire che la preghiera di
Mosè era capace d’impedire a Dio di trattare con rigore. Questo accadde molte
volte durante il cammino errabondo dei Giudei nel deserto; ogni volta furono
salvati dalla preghiera del Profeta, anche quando la «piaga» cominciò a
danneggiare gli increduli (Nm 17, 12).
Numerosissimi esempi della storia dell’umanità
provano che la preghiera dell’uomo virtuoso può salvare da catastrofi
imminenti. Due sono i tratti distintivi che caratterizzano gli esseri dotati di
ragione: la preghiera che testimonia la perfezione di quelli che sono stati
resi perfetti in Dio, e la carità che costituisce l’essenza e la natura di
questa perfezione.
L’Anziano soleva dire che la sensazione dell’amore
del prossimo è rivelata a chi prega in modo autentico. Più precisamente: «Quando
la Grazia
agisce nell’anima dell’orante, l’amore di Dio abbonda al punto da non poter
resistere a ciò che sente. Successivamente questo amore si volge verso il mondo
e verso l’uomo che ama, al punto di cercare di prendere su di sé tutta la
miseria e la sofferenza dell’umanità per sollevare gli uomini. In generale,
egli aveva compassione di ogni afflizione, di ogni oppressione, ivi compresa
quella degli animali irragionevoli, arrivando fino alle lacrime quando pensava
che soffrivano! Queste sono le particolarità dell’amore che la preghiera
suscita. Ecco perché quelli che progrediscono nella preghiera non cessano di
pregare per il mondo. E’ da essi che dipende il perdurare della vita, per quanto
paradossale e audace possa sembrare questa affermazione. Sappiate che se tali
uomini dovessero sparire, sarebbe la fine del mondo.
Dio, che per natura è amore perfetto, comunica e
trasmette una parte della sua bontà perfetta alle sue creature, in un modo ed
in un grado che lui solo conosce. Di conseguenza, la medesima cosa può essere
compiuta dai suoi servitori resi divini che, attraverso la preghiera e
l’invocazione, comunicano la vita al mondo. Concludendo, se l’amore è come il
corpo, la sua energia e la sua forza è la preghiera. Prova ne è che attraverso
la preghiera si può giungere alla realizzazione dell’amore universale con molto
successo, mentre altri mezzi e sforzi restano inefficaci.
Abba Barsanufio spiega nelle sue Lettere che alla sua epoca soltanto tre
uomini potevano, con le loro preghiere, portare la pace ai popoli in guerra ed
impedire che il mondo corresse verso la perdizione.[7]
Sappiamo anche che dei santi, con le loro preghiere, allontanarono delle
calamità incombenti: carestie ed epidemie di peste. Quale specie di concreto
contributo o di servizio personale potrebbe essere così utile a popoli e paesi
se non la preghiera? Allo stesso modo, l’usanza che le persone hanno di
chiedere agli altri di pregare per loro non è prova dell’eccellenza della
preghiera e del fatto che rappresenta la più grande e sicura garanzia di
successo?
Questo dimostra anche il carattere universale della
preghiera. Soltanto lei può includere in sé e unificare cose lontane, separate,
riportandole nell’unità (Gv 11, 22). Non vi è che lei che possa riavvicinare
ciò che è lontano e diviso, radunare parti avverse, in modo che ciascuno
riconosca il suo prossimo come membro che fa parte di lui stesso, pur vivendo
separatamente. In modo generale, la preghiera fatta per la sofferenza umana
manifesta l’amore, come pure la preghiera che è fatta per l’edificazione e il
pentimento degli erranti. Pregare per il nemico è il sommo della perfezione
umana; allora «questo corpo si sarà vestito d’immortalità» (1 Cor 15, 54).
Quelli che, una volta che sono divenuti deificati, pregano per i loro nemici,
riflettono questa divina proprietà pronunciando una preghiera tale che se fosse
possibile: «vorrei essere io stesso anatema, separato da Cristo a vantaggio dei
miei fratelli» (Rm 9, 3), che mi hanno fatto un torto! Tale è anche l’ultima
parola di Nostro Signore che prega per quelli che l’hanno crocifisso (Lc 23, 34)!
[tratto
da: GIUSEPPE DI
VATOPEDI, Giuseppe l’esicasta]
[1]
Anziano, padre spirituale.
[2]
Ciò che unisce spiritualmente l’insieme degli uomini.
[3]
Giovanni Damasceno, Canone di Pasqua, ode I.
[4]
Macario d’Egitto, Sulla custodia del cuore, 8, PG 34, 828.
[5]
Ibidem. 5, PG 34, 824.
[6]
Macario d’Egitto, Parafrasi di Simeone Metafrasto in
centocinquanta capitoli ai cinquanta discorsi di Macario Egiziano, 32, in La filocalia, III, p 283.
[7]
Barsanufio e Giovanni di Gaza, Epistolario, 569, ed. italiana a cura di
F. T. Lovato e L. Mortari, Città
Nuova, Roma 1991, pp. 459-460.
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