Giuseppe di Vatopedi: timore di dio
Nella mente che Dio ha donato all’uomo, c’è un certo principio
di conoscenza naturale che ci aiuta a distinguere tra il bene e il
male. Questa proprietà non è andata perduta dopo la caduta e, grazie ad
essa, una persona può comprendere il significato della sua esistenza, nonché lo
scopo di tutto ciò che è stato creato e quindi guadagnare la fede. Se una
persona non viene corrotta dalle false teorie di quanti hanno perso la testa, e
segue la retta via della fede verso il Dio Creatore, allora mentre cerca di
osservare i comandamenti, nella sua anima inizierà a nascere il timore di Dio.
Questo timore è il frutto della Grazia divina. È
una specie di riflesso della fede. Non si tratta di paura psicologica, né,
tanto meno, il timore di Dio presenta delle somiglianze con la codardia o il
pregiudizio. Esso è unico nel suo genere, e può avere varie
manifestazioni, che cercheremo di descrivere.
Il fondamento del timore di Dio è la fede in
Dio. Cercando di vivere per fede, scopriamo in noi stessi la terrificante
opposizione e apostasia con cui tradiamo l’amore del Padre. Chi ha la
visione dei suoi peccati riceve il potere
del timore di Dio. Quando questo sacro potere
inizia ad agire, allora la paura terrena e tutto ciò che è collegato ad essa
viene rimossa. Un esempio vivente del timore di Dio lo troviamo in quegli
asceti che, ispirati dalla paura divina, hanno coraggiosamente abbracciato il
duro e faticoso lavoro per osservare i comandamenti di Dio. Per evitare le
tentazioni furono «Lapidati, torturati,
maltrattati; di loro il mondo intero non era degno! Vagavano per i deserti,
le montagne, le grotte e le spelonche della terra»[1].
Attraverso questa auto-mortificazione, che è superiore
alla comune comprensione umana, hanno ricevuto liberamente il frutto del timore
di Dio, un grido benedetto causato da un sentimento di lontananza dall’amato
Dio. Come può il mondo sensuale dell’amore di sé e dell’incredulità,
comprendere il motivo per cui gli amanti di Dio disprezzano il mondo intero e
piangono come madri sulle tombe dei loro amati figli? Quanto sono profonde
le radici del male! È impossibile sradicarle con le sole forze
umane. Coloro che non hanno conosciuto la misteriosa azione della grazia
non capiranno mai fino in fondo lo spirito di colui che teme Dio. Dio non fa
preferenza di persone, ma la grazia è data solo a coloro che credono in Lui
e si impegnano completamente nell’amore di Dio. Dal dono dell’amore
divino, come piccoli germogli, spuntano le lacrime. Queste lacrime
moltiplicano di nuovo l’amore, e se questa santa azione non viene interrotta,
allora arriva lo stato del rapimento, come lo chiama Abba Isacco il Siro.
Questo è il rapimento di cui erano inebriati gli
eserciti dei profeti e degli Apostoli, dei martiri e di tutti coloro di cui il
grande Paolo disse che non potevano essere separati da Cristo «né dal dolore, né dall’angoscia, né dalla
persecuzione, né dalla fame, dalla nudità, dalla pericolo, dalla spada
[…], né morte, né vita, né Angeli, né Principati, né Potenze, né
presente, né futuro, né altezza, né profondità, né qualsiasi altra creatura»[2]. Questi
sono coloro che cantavano dal profondo del loro cuore: «Per amore tuo siamo messi a morte ogni giorno,
ci considerano come pecore condannate
al macello. Ma superiamo tutte queste cose con il potere di Colui
che ci ha amato»[3].
«Che cosa possiedi
che tu non l’abbia ricevuto?»[4]. Ogni
dono di grazia è come la lingua della fiamma dell’amore divino. Affinché
il cuore sia in grado di accogliere questa fiamma divina, devono essere
dimostrate nella pratica l’abnegazione e la sopportazione nelle varie
tentazioni, che in sostanza perseguono un obiettivo: presentarci come fedeli
all’amato Cristo. Esiste una netta connessione tra i doni della grazia e
il raggiungimento della fede. Coloro che seguono i comandamenti di Cristo
sono rinati, trasformati spiritualmente. Questo non accade a tutti allo
stesso modo, ma secondo la diligenza di ciascuno. Per coloro che seguono fedelmente
Gesù Cristo, la grazia divina li assimila a Colui che amano. Questa è la
teologia della croce, e Paolo glorifica la croce come luce dell’amore divino.
Ancora una volta, ricordo il grande significato del
timore di Dio come primo principio di tutto e fondamento del
pentimento. Abba Isacco, camminando attraverso la sobrietà, dice quanto
segue: «Il timore di Dio è il principio
della virtù. Esso è chiamato anche il frutto della fede, e sorge nel cuore
quando la mente di una persona si allontana dalla confusione del mondo per
raccogliere i suoi pensieri che vagano intorno ...»[5].
Il timore di Dio non è un prodotto dell’attività
mentale o il risultato di uno sforzo intellettuale, ma un dono che il Padre
celeste concede a tutti coloro che attira verso di sé[6]. Questi,
ancora una volta, sono precisamente quelli che credono pienamente in Colui che è
venuto per chiamare i peccatori alla salvezza[7]. Sono
coloro che riconoscono fermamente la sua natura divina e la verità dei suoi santi
comandamenti. Chi non avverte il proprio peccato e la lontananza di Dio da
lui «morirà nei suoi peccati»[8]. Questo
senso del peccato è concepito e vive solo dove la relazione tra Dio, come Creatore
e Signore, e l’uomo, come creatura, ha un carattere vivo e
personale. Qualsiasi altro sentimento e definizione di peccato sono indice
di errori e incomprensioni. In questa atmosfera di relazione personale e
di amicizia con Dio, il peccato è valutato come un crimine contro l’amore
paterno di Dio, come una chiara separazione da Dio attraverso il declino della
volontà nella passione e nella corruzione. Pertanto, il timore di Dio si
manifesta nella completa astinenza, che è uno strumento contro l’egoismo.
«Il timore del
Signore è il principio della saggezza»[9]. Questo
timore è concesso dall’alto, e il suo effetto è che una persona sente prima Dio
e poi se stesso. Il potere di questo timore ci pone davanti al giudizio di
Dio, davanti al quale la nostra colpa è immediatamente palesata. La conoscenza
dei propri peccati non si acquisisce con un grande sforzo e con la fatica di
lunghi ragionamenti. Questi ci lasciano nell’oscurità dell’ignoranza,
perché le passioni che ci dominano ci rendono insensibili e incapaci di vedere
il nostro peccato. Solo il timore di Dio può risvegliarci dal sonno di una
vita senza legge e illuminarci con la luce della prudenza.
Da un lato, siamo consapevoli del pericolo della
nostra situazione, e dall’altro, affermiamo la santità e la mansuetudine di
Dio. Non è necessario parlare molto del significato del timore di Dio. Senza
la sua azione purificatrice, il percorso dell’amore divino non si apre. Il
timore del Signore non è solo il principio della saggezza, ma anche l’inizio
dell’amore di Dio. Grazie a lui, l’anima sperimenta la conoscenza del suo
stato peccaminoso, si aggrappa a Dio e non vuole più separarsi da
Lui. Questa paura ci fa meravigliare del Dio rivelato. Riteniamo che
non siamo degni di un tale Dio, e inorridiamo al pensiero che egli si avvicini
a noi[10].
All’inizio del pentimento, non c’è altro sentimento
che la sofferenza spirituale per la colpa. Ma se siamo irremovibili,
allora la luce della grazia si avvicina, anche se quasi impercettibilmente, e
ci riempie del sentimento della presenza di Dio. «Ecco qui sta la sapienza»[11]. Se
osserviamo rigorosamente le leggi e i precetti del timore di Dio senza
contaminare la nostra volontà con egoismo ed amor di sé, inizieremo a crescere
spiritualmente «alla misura della
piena maturità di Cristo»[12].
Ma riuscire, nella pratica, è pericoloso a causa dell’egoismo
pernicioso che segue sempre la virtù. Proprio come un’ombra segue un
corpo, così il buon pensiero è seguito dalla vanità. Per la sicurezza di
coloro che stanno lottando, Dio permette loro di camminare lungo strade
ripide e impraticabili (che, secondo il suggerimento del nemico, sembrano
estenuanti per la mente e il corpo), in modo che nessuno di loro si fermi a
pensare molto a se stesso. Questo è in qualche modo «una spina nella carne [...] per affliggerli, affinché
non cadano nell’orgoglio»[13].
[1] Eb 11,37-38.
[2] Rm 8,35.38-39.
[3] Rm 8,36-37.
[4] 1Cor 4,7.
[5] Isacco
il siro, Discorso ascetico 1.
Tr. it. Isacco di Ninive, Discorsi ascetici, ESC-ESD, Bologna
2018, p. 87.
[6] Cfr. Gv 6,44.
[7] Cfr. Mt 9,13.
[8] Gv 8,24.
[9] Sal 110,10.
[10] Si pensi a Pietro che, gettatosi
ai piedi di Gesù, lo implora di allontanarsi da lui, cfr. Lc 5,8.
[11]
Ap 13,18.
[12]
Ef 4,13.
[13]
2Cor 12,7.
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