Gabriel Bunge, Diventare monaci. Per un rinnovamento del monachesimo occidentale secondo la Regola di San Benedetto, a cura di M. Di Monte, Monasterium 2020.
«Il compito del monaco è, semplicemente, di resistere, in mezzo ai suoi fratelli, alla tentazione del sonno del mondo e di tener viva la fiamma della speranza del Signore che viene. La forza di resistere gli giunge dalla preghiera.» Sottesa all’argomento principale del volume di Gabriel Bunge – monaco benedettino, poi eremita, infine accolto nella Chiesa ortodossa, e grande studioso dei Padri – c’è una riflessione sul tempo, sull’arco teso tra il principio e la fine, tra la prima e la seconda venuta di Cristo. Questa tensione ha introdotto una novità nel fluire del tempo, cioè la certezza di una meta che relativizza il presente. Il cristiano dunque sta su questa via, la percorre con altri senza farsi distrarre dal mondo, ascoltando i santi che l’hanno percorsa prima di lui, obbendendo ai loro consigli e approfittando del viaggio per convertirsi: il monaco, che ci prova, verrebbe da dire, «tutti i santi giorni che il buon Dio manda in terra», rappresenta la forma vivente e integrale di questo programma1.
Il tema del tempo viene approfondito nell’intervista (del 2013) posta in appendice al volume. È proprio la tensione escatologica che dà senso alla vita cristiana e che la può rendere difficile. «Una delle tentazioni più insidiose in una vita tutta tesa alla parusia del Cristo», dice infatti p. Bunge, «è il tempo, dal momento che il Signore sembra tardare, e l’attesa sembra farsi pesantemente lunga, interminabile…» (come il tempo stesso, potrei aggiungere, con una punta di malizia). È qui che può manifestarsi l’accidia, quell’akedia che p. Bunge chiama il male oscuro, non solo del monaco (e cui ha dedicato un libro notevole2). Questa apparentemente invincibile sensazione di pesantezza di sé, delle cose, del mondo, di tutto, per il cristiano viene «smascherata e vinta» dal pensiero della morte, che non rappresenta l’ultima incognita, bensì la certezza, la certezza dell’incontro: «Per ognuno di noi la morte è, dunque, il momento dell’incontro con Cristo, tanto che potremmo dire che la Parusia individuale ha già luogo in questo momento, mentre per l’intera storia umana avrà luogo quando il Signore tornerà nell’ultimo giorno, anche per quelli che non lo aspettano, che hanno continuato a crocifiggerlo e respingerlo, o che non credono in Lui».
Commenti
Posta un commento