San
Cipriano di Cartagine
SULLA
MORTALITÀ DELL’UOMO
De mortalitate
A cura
di
padre
Michele Di Monte e
don Simone Garavaglia
Introduzione
«Come Mosè innalzò il serpente nel
deserto,
così bisogna che sia innalzato il Figlio
dell’uomo,
perché chiunque crede in Lui abbia la
vita eterna»
(Gv 3,14-15)
Era stata una
delle tante insidie durante la marcia di Israele nel deserto del Sinai: i
serpenti velenosi che si annidavano tra le pietraie. Il riferimento è
all’episodio dell’Esodo in cui gli Ebrei furono attaccati da serpenti velenosi,
e molti morirono[1].
Allora Dio comandò a Mosè di fare un serpente di bronzo e metterlo sopra
un’asta: se uno veniva morso dai serpenti, guardando il serpente di bronzo
veniva guarito.
Il racconto
sottolinea che la liberazione dalla morte avveniva solo se si alzava lo sguardo
e si contemplava il serpente di bronzo, cioè se si aveva uno sguardo di fede
nei confronti di quel «simbolo di
salvezza», come lo definisce il libro della Sapienza che spiega: «Chi si volgeva a guardarlo era salvato non
per mezzo dell’oggetto che vedeva, ma da Te, salvatore di tutti»[2].
Gesù, nel
dialogo notturno con Nicodemo, stabilisce un parallelo tra quel segno di salvezza
e «il Figlio dell’uomo innalzato»[3],
cioè sé stesso crocifisso. Anche Gesù sarà innalzato sulla croce affinché l’uomo,condannato
alla morte a causa del peccato, rivolgendosi con fede a Lui, che è morto per
noi, sia salvato. «Dio infatti –
scrive san Giovanni il Teologo – non ha
mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia
salvato per mezzo di Lui»[4].
Sempre, allora
come oggi, la salvezza è una questione di sguardo: lo sguardo della nostra
fede. Si possono abbassare gli occhi o provare ad alzarli.
La paura
costringe sempre ad abbassare lo sguardo. Così si riesce a vedere solo il morso
dei serpenti che uccide. Bisogna cogliere il valore teologico del testo
biblico. Questa sciagura, questa epidemia dilaga. Nel deserto il popolo di Dio
si è ammalato: si è infettato in forma epidemica. Un morso avvelena, è
avvelenato il cuore. È il morso del serpente: è il morso della delusione, della
mormorazione, dello sconforto. Il serpente, l’antico tentatore, vuole liquidare
le creature di Dio dimostrandone il fallimento. Tutto è perduto, si vede solo
una morte senza riscatto. Avvelenando il cuore, quel morso provoca una
delusione che ristagna, e finalmente uccide. È il morso della delusione di Dio
che porta gli uomini a provare a salvarsi da soli.
Così anche in
questi giorni, segnati dalla paura e dalla sofferenza dell’epidemia da
Coronavirus, soffocati dallo smarrimento, si è tentati di abbassare lo sguardo.
Si guarda solo in basso, ci si gira a destra e a sinistra, senza trovare
salvezza. Allora, forse, l’unica speranza che rimane sembra essere un generico,
fumoso e debole: «Andrà tutto bene!». Non è però così! Ad alcuni non andrà
bene; ad altri sta già andando male!
Questo guardare
in basso consiste ultimamente nella nostra resistenza alla fede,
nell’incapacità di andare fino in fondo nella nostra vita a ciò che questa fede
ci domanda. In ultima analisi, questo significa che il terrore della morte
domina ancora – cristiani e non cristiani –, nonostante l’esempio paradossale
della morte, giustamente chiamata gloriosa, di Cristo in croce per noi.
La parola di Dio
ci chiede, invece, di alzare gli occhi: «Volgeranno
lo sguardo a Colui che hanno trafitto»[5].
Un serpente di rame, infilzato in un’asta, è un serpente trafitto, come Cristo in croce. Il serpente che ti morde è
inchiodato all’asta e così reso «segno» per opera di Dio: quel male che ti
affligge è inchiodato, trafitto. Così proprio quel male che ti avvelena è
trasformato da Dio in segno di salvezza, ossia in terapia di guarigione: nel male
che ti affligge Dio ti dà la medicina della guarigione. Nel mistero del male
occorre guardare bene: è il Signore che ci sta dicendo qualche cosa; è il
Signore che ci dà un segno e ci offre un richiamo; è il Signore che ci invita e
ci parla; è il Signore che ci libera, che ci guarisce.
«Sembra davvero
di raggiungere qui l’estremo paradosso: nel mio male io sono guarito! Il
serpente morde; ed ecco, là dove il mio cuore è morso, io sono liberato dal
veleno. Strano ma è così. Questo fa Dio nel deserto. È esattamente il mistero
del Crocifisso. È esattamente il mistero della salvezza. Questa è la
rivelazione che riceviamo da Dio, e solo da Dio… Il veleno mi è dato come
occasione di pentimento»[6].
Leggendo le
prossime pagine saremo presi per mano e così invitati ad alzare gli occhi, a
provare a vedere oltre, ad avere
questo sguardo alto che solo gli occhi della fede sanno reggere. Coglieremo la
testimonianza di san Cipriano: parole forti, che ci rimandano alla radicalità
della nostra fede in Cristo; parole che, lo speriamo vivamente, «peseranno» il nostro cuore, scuoteranno
le nostre false certezze e che, in fine, ci chiederanno conversione.
Nel difficile
momento che tutti stiamo vivendo proviamo allora ad alzare lo sguardo, a
tenerlo fisso su Gesù «Colui che dà origine
alla fede e la porta a compimento»[7].
25
marzo 2020
Annunciazione del Signore nostro Gesù Cristo
Nota biografica
Testimone
basilare della Tradizione della Chiesa, Thascius Caecilius Cyprianus nacque in
una ricca e colta famiglia pagana a Cartagine, intorno al 210. Le notizie
biografiche in nostro possesso si trovano principalmente nelle sue opere,
soprattutto le Lettere, in una Vita composta nella seconda metà del III
secolo dal diacono Ponzio[8],
testimone oculare delle vicende narrate, in una notizia di san Girolamo nel De viris illustribus[9] e negli Atti dei martiri[10].
Educato nella
religione pagana, trascorse una giovinezza dissipata per poi appassionarsi allo
studio e divenire un retore e un avvocato affermato. Intorno al 245, all’età di
35 anni, in seguito ad una profonda crisi spirituale, si convertì al
cristianesimo e fu accolto nella Chiesa dal presbitero Ceciliano, del quale,
con il battesimo, volle assumere il nome.
Stupì cristiani
e pagani per la radicale scelta di povertà, l’amore e la totale dedizione alla
Chiesa. Nel 249, alla morte del vescovo di Cartagine Donato: «Ancora neofita – come scrive Ponzio – per giudizio di Dio e desiderio del popolo,
fu eletto alla dignità vescovile»[11].
Uomo di profonda
fede e grande intelligenza, si trovò ad affrontare la questione dei lapsi, i cristiani che durante la
persecuzione avevano rinnegato la fede, disponendo nei loro riguardi – per la
prima volta nella storia della Chiesa – la possibilità di essere riaccolti dopo
una dura e lunga penitenza.
Nel 252 si trovò
a dover aiutare i cristiani, e gli uomini della sua epoca, ad affrontare una
terribile peste che devastò il paese.
Così, il suo
biografo Ponzio, descrive quei giorni:
«Scoppiò poi una terribile epidemia e
l’enorme distruzione di un’odiosa malattia irruppe in ogni casa, portando via
giorno per giorno un numero enorme di persone. Tutti inorridivano, piangevano,
cercavano di evitare il contagio, abbandonavano empiamente i loro cari, come se
qualcuno, insieme con il morituro di peste, potesse allontanare la morte
stessa. Giacevano frattanto nell’intera città, per le strade, non più corpi, ma
innumerevoli cadaveri, e appellandosi alla comune sorte sollecitavano verso di
sé la pietà dei passanti. Nessuno mirò ad altro che a crudeli guadagni, nessuno
trepidò al pensiero di una fine simile, nessuno fece ad altri ciò che avrebbe
voluto fosse fatto a sé[12]. Sarebbe un vero
peccato passare sotto silenzio che cosa così fece fra tali eventi il pontefice
di Cristo e di Dio, che sopravanzava i pontefici di questo mondo tanto in pietà
quanto nell’ortodossia della fede. In primo luogo, radunato il popolo, lo
istruì sui beni della carità e lo ammaestrò, con esempi tratti dalla Sacra
Scrittura, su quanto valgano le opere di pietà a guadagnare la benevolenza di
Dio. Poi soggiunse che non era oggetto di meraviglia il soccorrere soltanto i
confratelli con doveroso servigio di carità: quegli solo, infatti, può divenire
perfetto, che faccia qualche cosa più di un pubblicano o d’un pagano, e che
vincendo il male con il bene e comportandosi in conformità con la divina
clemenza, ami anche i suoi nemici, e che per la salvezza dei suoi persecutori,
come il Signore ammonisce ed esorta, preghi…»[13].
Dopo essere
stato mandato in esilio, Cipriano morì martire la mattina del 14 settembre del
258, all’età di quarantotto anni: «Condotto
nel campo di Sesto, si tolse il mantello e lo distese nel punto in cui
intendeva inginocchiarsi, poi si tolse la dalmatica e la consegnò al diacono,
restando con indosso la sola veste di lino...e fu giustiziato»[14].
Nelle prossime
pagine presentiamo, per intero, il breve trattato De mortalitate, nella traduzione di padre Michele Di Monte[15].Fu
composto proprio durante la peste che sconvolse l’Africa del nord a partire dal
252, per consolare i cristiani messi alla prova dall’epidemia. Il trattato è una commossa esortazione di san
Cipriano ad affrontare il dolore e la morte in modo cristiano e a spostare lo
sguardo dalle cose terrene a quelle del cielo.
De mortalitate
1 La maggior parte di voi, amati
fratelli, possiede una mente risoluta, una fede ferma e uno spirito devoto, e non è spaventato dai numeri dell'attuale epidemia[16],
ma come una roccia salda e stabile respinge gli attacchi turbolenti del mondo e
le onde impetuose di questa triste epoca senza essere spezzato. L’attuale prova
non è in grado di sconfiggerci, ma ci costringe ad una verifica.
Eppure
vedo che tra la gente, alcuni per debolezza d’animo, altri per scarsezza di
fede o per le lusinghe della vita mondana o per la fragilità del sesso o, cosa ben
più peggiore, per l’allontanarsi dalla verità, resistono meno saldamente e non
rivelano la forza divina e invincibile che è nel loro cuore, e io non posso né ignorare,
né tacere questo problema! Infatti, per quanto possa giovare la mia pochezza,
con pieno vigore e utilizzando un discorso desunto dall’insegnamento del
Signore, mi prodigherò perché la debolezza degli spiriti fiacchi sia rafforzata
e colui che ormai inizia a essere un uomo di Dio e di Cristo, sia anche
considerato degno di Dio e di Cristo.
2 Infatti, amati fratelli, chi milita come
soldato di Dio,è di stanza nell’esercito dei cieli e spera oramai nei beni divini,
dovrebbe conoscere se stesso per non avere paura, né preoccuparsi durante le
tempeste e i turbini del mondo, poiché il Signore aveva predetto che queste cose
sarebbero arrivate[17].Per
questo, attraverso l’esortazione della sua voce provvidente, ha istruito,
insegnato, preparato e rafforzato il popolo della sua Chiesa affinché fosse in
grado di resistere alle cose che sarebbero accadute. Predisse e profetizzò il
sopraggiungere di guerre, carestie, terremoti e pestilenze in ogni luogo [della
terra]. Affinché, poi, una paura inattesa e nuova di avvenimenti distruttivi
non potesse scuoterci, ci ha avvertito che le avversità sarebbero aumentate
sempre di più negli ultimi tempi[18].
Ecco che le cose di cui ci ha parlato stanno accadendo; e poiché le cose
predette stanno avvenendo, seguirà anche ciò che è stato promesso, come ci ha
promesso il Signore stesso, dicendo: «Quando vedrete compiersi tutte queste,
sappiate che il regno di Dio è vicino»[19].
Il regno di Dio, amati fratelli, ha iniziato ad essere a portata di mano; la
ricompensa della vita e la gioia della salvezza eterna e della felicità
perpetua e il possesso del paradiso perduto, ora si stanno avvicinando con il
passare del mondo[20].
Ora le cose del cielo subentrano a quelle della terra,le grandi realtà a cose
piccole, le eterne alle transitorie. Che spazio c'è,dunque, in questo momento
per l’ansia e la preoccupazione? Chi in mezzo a queste cose è spaventoso e
triste, se non chi è totalmente privo di speranza e di fede? Infatti solo
chi non è disposto ad andare incontro a Cristo teme la morte. Chi teme di andare
incontro a Cristo non crede di iniziare a regnare con Lui.
3 È scritto: «Il giusto vive di fede»[21].
Se sei giusto e vivi di fede, se credi veramente in Dio, perché, tu che sei
destinato ad essere con Cristo e sei sicuro della promessa del Signore, non
accetti con gioia di essere chiamato da Cristo e non ti rallegri di allontanarti
dal regno del diavolo[22]?
Infatti il giusto Simeone, che fu giusto nel vero senso della parola, perché
osservò con fede retta (ortodossa) i comandamenti di Dio, poiché gli era stato preannunciato
per ispirazione di Dio che non sarebbe morto prima di avere visto il Cristo[23],
nel momento in cui Cristo bambino si era recato al tempio insieme con la Madre,
riconobbe dallo Spirito, dal quale in precedenza ciò gli era stato predetto, che
il Cristo era nato. Dopo aver visto il bambino seppe con certezza che presto
sarebbe morto. Perciò, felice per la morte ormai vicina e sicuro della prossima
chiamata, prese in braccio il bambino e benedicendo Dio gridò ad alta voce: «O Signore, ora lascia che il tuo servo vada
in pace secondo la tua parola, poiché i miei occhi hanno visto la tua salvezza»[24].Mostrò
così, in modo evidente, che per i servi di Dio ci sarebbe stata la pace, che ci
sarebbe stato un riposo tranquillo e libero da preoccupazione solo quando,
sottratti dalle tempeste di questo mondo, tutti noi giungiamo al porto e alla
dimora dell’eterna sicurezza, solo quando anche noi, dopo aver vinto questa
morte terrena, giungiamo all’immortalità[25].
Perché quella è la nostra pace, quella nostra sicura tranquillità, quella la
nostra unica, immutabile, stabile ed eterna sicurezza.
4 Del resto, cos'altro si fa nel mondo
se non una battaglia quotidiana contro il diavolo, una lotta contro il continuo
insorgere delle sue frecce e dei suoi dardi? Siamo continuamente in guerra
contro l’avarizia, la lussuria, l’ira, l’ambizione e contro tutti i vizi della
carne e le attrattive del mondo. La mente dell'uomo, assediata e circondata su
tutti i fronti dall'assalto del diavolo, si oppone con difficoltà a questi
singoli nemici, e vi resiste con fatica. Se l'avarizia è gettata a terra, ecco
che subito insorge la lussuria; se la lussuria viene repressa, ecco che è
subito sostituita dall'ambizione; se l'ambizione viene superata, divampa l’ira,
o ci gonfiamo per la superbia, siamo sedotti da bevande inebrianti, o ancora
l'invidia distrugge l'armonia e la gelosia rovina le amicizie. Sei costretto a
maledire, cosa proibita dalla legge divina; sei costretto a imprecare, il che è
proibito.
5 Ogni giorno l’animo subisce così tante
persecuzioni, il cuore è incalzato da così tanti pericoli. Eppure ci fa piacere
rimanere qui a lungo, tra le armi del diavolo, quando dovremmo piuttosto
anelare e desiderare ardentemente di affrettarci incontro a Cristo, aiutati da
una morte che giunge rapidamente, poiché Egli stesso ci istruisce, dicendo: «In
verità, in verità vi dico che voi gemerete e piangerete, mentre il mondo
gioirà: voi sarete tristi ma la vostra tristezza si muterà in gioia»[26].
Ma chi non vorrebbe essere libero dalla tristezza? Chi non avrebbe fretta di
giungere alla gioia? Ora, quando il nostro dolore si tramuterà in gioia, il nostro
Signore stesso ci dirà di nuovo: «Ti
rivedrò e il tuo cuore si rallegrerà; e nessuno potrà toglierti la tua gioia»[27].
Poiché, quindi, vedere Cristo è gioire, e poiché nessuno di noi può provare
gioia se non vede Cristo, non dimostra forse di essere cieco e folle colui che
ama le afflizioni, le punizioni e le lacrime del mondo invece di affrettarsi verso
la gioia che nessuno potrà mai toglierci?
6 Ma questo accade, amati fratelli,
perché manca la fede, perché nessuno crede alla verità delle promesse di Dio,
che è veritiero e la cui parola è eterna e salda per coloro che credono. Se un
uomo influente e rispettabile ti promettesse qualcosa, avresti fiducia nella
sua promessa e non penseresti di essere ingannato o imbrogliato da un uomo che
conosci per le sue parole e azioni.Ora Dio ti sta parlando e tu vacilli senza
fede nella tua mente di non credente? Dio ti promette l'immortalità e
l'eternità quando lascerai questo mondo, e tu dubiti?Questo significa non
conoscere Dio! Questo significa offendere Cristo, Maestro della nostra fede, con
il peccato dell'incredulità!Questo significa, pur appartenendo alla Chiesa, non
avere fede nella Casa della Fede.
7 Cristo stesso, il Maestro della nostra
salvezza e del nostro bene, ci insegna quanto giova andarsene da questo mondo. Quando
i suoi discepoli si affliggevano perché Egli affermava che ormai se ne sarebbe
andato via, parlò loro così: «Se mi amaste,
sareste felici perché vado dal Padre»[28].
Volle così insegnarci e rivelarci che si deve essere felici piuttosto che
addolorati quando le persone care che amiamo se ne vanno dal mondo[29].
Il santo Apostolo Paolo, memore di questo, scrive nella sua lettera: «Per me vivere è Cristo, e morire un guadagno»[30],
stimando quindi il più grande guadagno l’essersi ormai liberato dalle catene e
dai lacci del mondo e, non più soggetto a nessun peccato e vizio della carne,
sottratto alle tribolazioni angosciose e liberato dai denti avvelenati del
diavolo, partire verso la gioia della salvezza eterna su invito del Cristo.
8 Tuttavia vi sono alcuni che
precipitano nel dubbio [di fede] per il fatto che il contagio di questa epidemia
colpisca senza distinzione i nostri fratelli e i pagani.Come se il cristiano
credesse a patto di restare immune dal contagio dei mali e di godere
felicemente di questo mondo, invece di preservarsi per la gloria futura, dopo
aver sopportato qui tutte le avversità. Sono turbati dal fatto che questa
epidemia sia comune a noi e agli altri. Ma che cosa c’è in questo mondo che non
sia comune a noi e agli altri, finché resta comune questa nostra carne, secondo
la legge della prima nascita[31]?
Finché restiamo in questo mondo, siamo uniti al genere umano dall’uguaglianza
della carne, ma siamo separati nello spirito. Perciò finché questo nostro corpo
corruttibile non sia rivestito di incorruttibilità, e finché lo spirito non ci
conduca fino a Dio Padre, tutte quelle tribolazioni che rappresentano i vizi
della carne sono comuni a noi e al genere umano. Così come quando la terra è sterile
e non produce frutti, restando improduttiva, la fame non fa distinzione; e
quando una città è conquistata da un attacco nemico, la prigionia non fa
nessuna distinzione; e quando il cielo resta sereno non fa cadere la pioggia,
la siccità è unica per tutti; e quando degli scogli aguzzi spezzano la nave, il
naufragio è comune a tutti i naviganti, senza eccezione; allo stesso modo
questo bruciore agli occhi, questo assalto delle febbri, questo morbo che
pervade tutte le membra, è comune a noi e agli altri, fino a quando nel mondo porteremo questa
carne, che è comune a tutti.
9 Che anzi se un cristiano riconosce e
sa bene in base a quale condizione, a quale legge ha accettato di credere,
saprà che deve soffrire di più rispetto agli altri nel mondo, che deve
combattere di più contro gli assalti del diavolo. La scrittura divina insegna e
ammonisce dicendo: «Figlio, quando ti
avvicini a servire Dio, resta nella giustizia e nel timore e prepara l’anima
tua alla tentazione»[32]
e di nuovo: «Sii forte nel dolore e sii
paziente nell’umiliazione, perché l’oro e l’argento si provano nel fuoco»[33].
10 Così Giobbe, dopo aver perso i suoi beni
e dopo la morte dei figli, afflitto gravemente anche dalle ulcere e dalla
cancrena, non fu vinto, ma messo alla prova. In mezzo ai tormenti e al dolore,
dimostrò la pazienza di un animo religioso, ed esclamò: «Nudo sono uscito dal seno di mia madre, nudo me andrò sotto terra; il
Signore ha dato e il Signore ha tolto.Come al Signore è sembrato giusto, così è
stato fatto. Sia benedetto il nome del Signore»[34].
E anche quando la moglie lo premeva affinché, incapace di sopportare la
violenza del dolore, dicesse qualcosa contro Dio con voce lamentosa e astiosa,
rispose e disse: «Hai parlato come una
tra le tante stolte. Se accettiamo i beni dalla mano del Signore, perché non
dovremmo sopportare anche i mali? In tutto ciò che lo colpì, Giobbe non commise
alcun peccato con le sue labbra al cospetto del Signore»[35].
Perciò il Signore Dio gli dà lode e testimonianza dicendo: «Hai visto il mio servo Giobbe? Non c’è nessuno
simile a lui sulla terra, è un uomo che non si lamenta, un vero adoratore di
Dio»[36].
E Tobia dopo aver compiuto imprese magnifiche, dopo molti e gloriosi elogi per
le opere della sua misericordia, pur essendo stato colpito dalla cecità,
temendo e benedicendo Dio nelle avversità, per la stessa sventura del suo
corpo, si meritò la lode, mentre sua moglie cercò di corromperlo, dicendo: «Dov’è la tua giustizia? Ecco che cosa soffri»[37].
Ma quello, fermo e saldo nel timore di Dio, armato della sua fede religiosa e
pronto a sopportare ogni tormento, nel dolore non cedette alla tentazione di
sua moglie, che era debole, ma conseguì meriti ancor più grandi agli occhi di
Dio, grazie a una maggiore pazienza.L’angelo Raffaele in seguito lo loda dicendo:
«È degno di molto onore e di molta gloria
rivelare e proclamare le opere di Dio. Infatti quando tu e Sara pregavate, io
offrii la memoria della vostra preghiera al cospetto della gloria di Dio: così
come quando tu seppellivi i morti nella tua semplicità, perché non hai esitato
ad alzarti e a lasciare il tuo pranzo, e te ne sei andato e hai seppellito il
morto, allora sono stato mandato a tentarti: di nuovo Dio mi mandò a curare te
e Sara, tua nuora: io infatti sono Raffaele, uno dei sette angeli santi che
siamo presenti e dimoriamo di fronte alla gloria di Dio»[38].
11 I giusti hanno sempre avuto questa
pazienza e gli apostoli hanno conservato questa regola dalla legge del Signore,
cioè di non mormorare nelle avversità, ma di accogliere con forza e pazienza
tutti gli eventi che accadono nel mondo. Invece il popolo dei Giudei lo ha
sempre offeso in questo, perché assai spesso mormorava contro Dio, come
testimonia nei Numeri il Signore Dio dicendo: «Cessi il loro mormorio contro di me e non moriranno»[39].
Non si deve mormorare nelle avversità, o fratelli carissimi, ma dobbiamo
sopportare con pazienza e forza qualunque cosa accada, perché è scritto: «Sacrificio per Dio è uno spirito tormentato:
Dio non disdegna un cuore contrito e umiliato»[40].
Anche nel Deuteronomio lo Spirito Santo,per mezzo di Mosè, ci ammonisce e
afferma: «Il Signore Dio tuo ti colpirà
con delle tribolazioni e ti farà soffrire la fame e si saprà se hai ben
custodito i suoi comandamenti nel tuo cuore oppure no»[41],
e anche: «Il Signore Dio vostro vi tenta,
per sapere se amate il Signore Dio vostro con tutto il vostro cuore e con tutta
la vostra anima»[42].
12 Così Abramo è piaciuto a Dio, perché per
piacere a Lui non ebbe paura di perdere suo figlio e non si rifiutò di diventarne
l’uccisore[43].
Tu che non ti rassegni a perdere tuo figlio a causa di questa epidemia, che
colpisce a caso e secondo le sue leggi, che cosa faresti se ti fosse ordinato
di uccidere tuo figlio[44]?
Il timore di Dio e la fede devono renderti pronto a tutto. Si tratti pure della
perdita delle tue proprietà, del tormento incessante e doloroso delle membra
afflitte da un’atroce malattia, della triste e dolorosa separazione dalla
moglie, dai figli e dai cari che periscono: per te tali eventi non siano
disgrazie ma combattimenti; non indeboliscano e neppure infrangano la fede del
cristiano, ma piuttosto mostrino nella prova il suo valore, poiché la fiducia nei
beni futuri deve far disprezzare ogni sofferenza derivante dai mali presenti.
Se non precede il combattimento, non può esserci vittoria!Solo quando
nell’infuriare della battaglia si sia giunti alla vittoria, è donata ai
vincitori anche la corona. Nella tempesta si riconosce il valore del nocchiero,
sul campo di battaglia si tempra il soldato. Quando non c’è pericolo la
battaglia ha poco valore. È nelle avversità che si riconosce il vero conflitto,
quando il combattimento comporta dei rischi. Un albero che ha radici profonde
non è scosso dalla violenza dei venti, la nave che è stata rinforzata da solide
giunture è sbattuta dai flutti, ma non viene affondata; e quando nell’aia si
trebbiano le messi, i grani forti e robusti disdegnano i turbini, mentre la
pula è trascinata e portata via dal vento.
13 Così anche l’apostolo Paolo, dopo aver
fatto naufragio, dopo le flagellazioni, i molti e spaventosi tormenti che lo hanno
colpito nelle membra e nel suo corpo[45],
afferma di non essere torturato ma reso migliore dalle difficoltà, perché sia
messo più autenticamente alla prova proprio quando è tormentato più
dolorosamente nella carne.Dice. «Mi è
stata data una spina nella mia carne, un inviato di Satana che mi schiaffeggi,
perché io non mi insuperbisca. A causa di questo pregai per tre volte il
Signore, perché lo allontanasse da me ed egli mi disse: ti basti la mia grazia,
infatti la virtù si perfeziona nell’infermità»[46].
Quando dunque imperversano l’infermità, la debolezza o una qualche epidemia, è
allora che la nostra virtù si porta a perfezione, è allora che la fede, pur
sottoposta alla prova, ma rimasta retta e salda, riceve la corona dalla
vittoria, come è scritto: «La fornace
mette alla prova i vasi di creta e la tentazione tormenta gli uomini giusti»[47].
Questa insomma è la differenza tra noi e gli altri che non conoscono Dio, e cioè
che quelli si lamentano delle avversità e mormorano, mentre noi non ci
allontaniamo dalla virtù e dalla verità della fede a causa delle tribolazioni,
perché queste nel dolore ci provano.
14 Ora il fatto che il ventre,preso dai
crampi,disperda le forze del corpo in una dissenteria incontrollata, che nel
profondo delle ossa l’infezione divampi provocando piaghe nella gola e si
espanda ribollendo, che l’intestino sia scosso da un vomito continuo, che gli
occhi brucino iniettati di sangue, che i piedi oppure altre membra debbano
essere amputati a causa del contagio della malsana cancrena, che a causa di
questa perdita oppure di questo danneggiamento di parti del corpo, mentre la
debolezza si insinua dappertutto, il passo si faccia incerto, l’udito si
affievolisca, la vista si oscuri, tutto ciò è utile a mostrare la nostra vera
fede[48].
In risposta a così tanti attacchi della malattia e della morte, quanta
grandezza d’animo si rivela nell’affrontarli con coraggio, quanta nobiltà
d’animo rifulge nel restare ritti tra le rovine del genere umano, quanto è
bello non giacere prostrato a terra insieme a tutti quelli nei quali non è
presente nessuna speranza in Dio! Dobbiamo anzi rallegrarci e abbracciare con
gioia questa occasione di prova come un dono!Infatti, mentre noi mostriamo la
saldezza della nostra fede e mentre ci dirigiamo verso Cristo attraverso la sua
via stretta, sopportiamo la sofferenza e otteniamo dal giusto Giudice la
ricompensa della vita e della fede. Tema di morire colui che non è nato a nuova
vita dall’acqua e dallo Spirito, e che sarà consegnato al fuoco eterno della
Gehenna. Tema di morire colui che non è stato segnato con il sigillo della
croce e della passione di Cristo. Tema di morire colui che passerà da questa
morte alla morta seconda[49].
Tema di morire colui che allontanandosi dal mondo sarà tormentato dalla fiamma
eterna di infiniti castighi. Tema di morire colui al quale è stata inflitta
l’angoscia di un’attesa più lunga, perché il suo tormento e il suo lamento sono
soltanto differiti.
15 Molti di noi stanno morendo durante
questa terribile epidemia, e ciò significa che molti di noi sono liberati dal
mondo. Questa mortalità è una rovina per i giudei, i pagani e per i nemici del
Cristo, ma per i servi di Dio essa è una partenza salutare. Il fatto che senza
alcuna distinzione tra gli uomini i giusti periscano insieme agli ingiusti, non deve
farvi pensare che la morte regali un destino comune ai malvagi e ai buoni. I
giusti, infatti, sono chiamati al riposo, gli ingiusti sono trascinati al supplizio:
è concessa più velocemente la protezione ai credenti, il castigo ai malvagi. Amati
fratelli, siamo sciocchi e irriconoscenti nei confronti dei benefici divini e
non capiamo che cosa ci è concesso. Ecco, le vergini muoiono in pace, sicure
della loro salvezza, senza temere le minacce, le seduzioni e le infami oscenità
dell’anticristo. I fanciulli evitano i pericoli derivanti dall’età insidiosa
dell’adolescenza e giungono felicemente alla ricompensa della continenza e
dell’innocenza. La matrona, educata nella delicatezza, non teme i tormenti, il
timore della persecuzione, le percosse e le torture del carnefice, poiché le ha
evitate con una rapida morte. I tiepidi sono stimolati dalla paura
dell’epidemia e delle circostanze funeste, i negligenti sono spronati, i pigri
sono pungolati, i disertori della fede sono spinti a ritornare, i pagani sono
costretti a credere, i fedeli più vecchi sono chiamati al riposo, l’esercito
numeroso e fresco di forze è riunito con più ardente zelo sul campo, perché
combatta senza paura della morte, una volta che sia giunto al momento della
battaglia chi si avvicina al combattimento attraverso l’esperienza dell’epidemia.
16 Fratelli amatissimi, quanto vale tutto
ciò! Quanto è appropriato, quanto è necessario che questa epidemia e questa
peste, che sembrano orribili e mortali, mettano alla prova il senso di
giustizia di ognuno ed esaminino i sentimenti umani. Questo flagello mostra se
i sani siano realmente al servizio dei malati, se i parenti amino i loro
consanguinei come devono, se i padroni abbiano compassione dei servi malati, se
i medici non abbandonino i malati che chiedono loro aiuto, se i violenti
reprimano la loro ira, se gli avidi
spengano l’ardore sempre insaziabile della loro folle avidità almeno per la
paura della morte, se gli orgogliosi pieghino la testa, se gli sfrontati
moderino l’audacia, se, morendo i loro cari, i ricchi, vedendo l’approssimarsi
della morte, elargiscano almeno qualcosa visto che moriranno senza lasciare
eredi. Anche se questa epidemia non avesse giovato a niente altro, giova
moltissimo a noi cristiani e ai servi di Dio, per il fatto di incominciare a
desiderare volentieri il martirio, mentre si impara a non temere la morte. Per
noi questa epidemia è un esercizio, non uno sterminio, perché offre la corona
della fermezza all’animo, preparato alla vittoria grazie al disprezzo della morte.
17 Ma forse qualcuno potrebbe fare questa
obbiezione: «Dunque, nella presente epidemia mi rattrista il fatto che io che
mi ero preparato a professare la fede e che mie ero dedicato con tutto il cuore
e tutto il mio vigore a sopportare la prova del martirio, ne sono privato per
l’arrivo di questa inaspettata morte». In primo luogo non è in tuo potere ma è
nelle mani di Dio la grazia del martirio e non puoi affermare di aver perduto
ciò che non sai se meriti di ricevere. In secondo luogo Dio che indaga la virtù
e il coraggio, che esamina e conosce le intenzioni nascoste, ti osserva, ti
loda e ti approva: quando vede che in te il coraggio era pronto per il
martirio, ti restituisce la tua ricompensa in proporzione a quello. Forse che
Caino aveva già ucciso suo fratello nel momento in cui offriva doni a Dio? E
tuttavia Dio nella sua prescienza condannò prima l’omicidio che già era stato
concepito nella mente. Come allora l’intenzione malvagia e il rovinoso disegno
furono previsti in anticipo da Dio preveggente, così anche la mente dedita al
bene dei servi di Dio che pensano alla professione di fede e che concepiscono
nell’animo il desiderio del martirio, è coronata da Dio che ne è il giudice.
Una cosa è se manca il coraggio nel martirio, un’altra è se al coraggio è
mancato il martirio[50].
Il Signore quando ti chiama e ti giudica, ti sorprende tale e quale ti trova,
come Egli stesso testimonia affermando: «Tutte le Chiese sapranno che io scruto
ed esamino le viscere e il cuore»[51].
Infatti Dio non richiede il nostro sangue, ma la nostra fede. Infatti né
Abramo, né Isacco né Giacobbe furono martirizzati; nonostante questo furono
onorati per i loro meriti di fede e di giustizia, e meritarono di essere i
primi tra i patriarchi: al loro banchetto si unisca chiunque sia trovato
fedele, giusto e degno di lode.
18 Ricordiamoci che noi non dobbiamo fare
la nostra volontà, ma quella di Dio, come il Signore ci ha comandato di pregare
quotidianamente[52].
Quanto è assurdo e inutile il fatto di non obbedire all’istante al cenno della
sua volontà, quando Dio ci chiama a sé e ci trae fuori da questo mondo! Anzi
opponiamo resistenza e recalcitriamo, e come servi ostinati siamo condotti al
cospetto di Dio tristi e addolorati, in quanto ci allontaniamo da qui costretti
dai vincoli della necessità e non obbedendo con gioia all’assenso di una libera
volontà: in più vogliamo anche essere ricompensati con i doni celesti da Dio,
dal quale ci rechiamo pure malvolentieri. Allora perché preghiamo e
supplichiamo che venga il regno dei cieli, se ci piace così tanto rimanere
prigionieri sulla terra? Perché preghiamo con orazioni incessanti e invochiamo
ad alta voce che si affretti il giorno del Suo regno, se i nostri desideri
autentici e i nostri voti più fervidi sono finalizzati a servire sulla terra il
diavolo, piuttosto che a regnare nei cieli con il Cristo?
19 Perché risplendano più chiaramente i
segni della provvidenza divina e per dimostrare che il Signore, che conosce le
cose future, provvede ai suoi con vera salvezza, accadde il seguente fatto[53].
Uno dei nostri collaboratori e dei nostri fratelli nel sacerdozio, sfinito
dalla malattia e preoccupato per la morte che si avvicinava, richiese l’ultimo
conforto per la sua imminente dipartita. Mentre stava pregando ed era oramai
sul punto di morire, venne accanto a lui un giovane dall’aspetto maestoso e
dignitoso, di elevata statura e di aspetto straordinario, e tale che la vista
umana a mala pena era in grado di osservarlo con gli occhi del corpo e che
soltanto colui che stava per andarsene dal mondo poteva vedere. Quel giovane,
non senza un certo sdegno presente all’animo e nel tono della voce, ebbe un
fremito e disse: «Avete paura di soffrire e non volete andarvene, che cosa
posso fare per voi?». Questa era la voce di rimprovero e di biasimo rivolta da
chi, preoccupato per la persecuzione, sicuro della chiamata divina, non
assecondava il desiderio immediato, ma anzi provvedeva al futuro. Il nostro
fratello e collaboratore nel sacerdozio, mentre era in punto di morte, ascoltò ciò
che doveva dire agli altri. Infatti il morente udì quelle parole solo per
ripeterle a noi: egli le ascoltò non per sé, ma per noi. Infatti a che cosa avrebbero
potuto servirgli, mentre era sul punto di andarsene? Egli le apprese a
beneficio di coloro che rimanevano, perché si sapesse che cos’è utile per
tutti, quando veniamo a sapere che è un sacerdote è stato rimproverato perché
domandava la guarigione.
20 Anche a me, il più piccolo e ultimo fra
tutti, quante volte è stato rivelato, quanto frequentemente e chiaramente mi è
stato insegnato per bontà di Dio perché vi insegnassi continuamente, perché
predicassi pubblicamente che non si devono pianger i nostri fratelli liberati
dal mondo grazie alla chiamata del Signore, in quanto sappiamo che non si sono
perduti definitivamente, ma che sono soltanto stati mandati avanti; che ci
precedono andandosene via prima, come accade a coloro che partono o che si
imbarcano. I nostri cari fratelli devono essere ricordati con il pensiero, non
rimpianti, e non si devono indossare abiti di lutto su questa terra, perché nel
cielo loro hanno già indossato vesti bianche.Non bisogna offrire ai pagani
l’occasione di biasimarci meritatamente e giustamente, perché piangiamo come
morti e come perduti per sempre coloro che affermiamo vivere presso Dio. Così
facendo noi non testimoniamo affatto con il cuore e con lo spirito la fede:
sembra che sia falso, finto e artificioso ciò che affermiamo. Non serve a
niente ostentare la virtù a parole e poi distruggerne la verità nei fatti.
21 Infine l’apostolo Paolo disapprova,
biasima e accusa quando alcuni sono afflitti per la morte dei loro cari. Dice:
«O fratelli, non vogliamo lasciarvi
nell’ignoranza riguardo a coloro che sono morti, perché non vi affliggiate così
come gli altri che non hanno speranza. Se infatti crediamo che Gesù è morto ed
è risorto, così anche Dio radunerà insieme con Lui coloro che sono morti in
Gesù»[54].
Dice che si affliggono per la morte dei loro cari coloro che non hanno
speranza. Ma noi che viviamo nella speranza e crediamo in Dio e siamo certi che
Cristo è morto per noi ed è risorto, confidando in Cristo e risorgendo grazie a
Lui e in Lui, perché mai non vogliamo andarcene da qui, dal mondo, o piangiamo
e siamo addolorati per i nostri cari che se ne sono andati come se fossero
persi del tutto? Dal momento che lo stesso Cristo Signore e Dio nostro ci
esorta dicendo: «Io sono la
risurrezione.Chi crede in me anche se muore vivrà, e chiunque vive e crede in
me non morirà in eterno»[55].
Se crediamo in Cristo, dobbiamo avere fiducia nelle sue parole e nelle sue
promesse: destinati a non morire in eterno, dobbiamo andare da Cristo, insieme
al quale sempre vivremo e regneremo nella gioia e nella sicurezza.
22 Se nel frattempo anche noi moriamo, per
mezzo della morte giungiamo alla Vita.Passiamo dalla morte all’immortalità,
poiché non si può giungere alla vita eterna se non a condizione di uscire dal
mondo terreno. Questa non è una fine, ma un passaggio e un trasferimento verso
luoghi eterni, dopo aver percorso un viaggio che dura nel tempo. Chi non si
affretterebbe verso mete migliori? Chi non desidererebbe cambiarsi e
trasformarsi più velocemente, seguendo l’immagine del Cristo e la dignità della
grazia celeste? Mentre l’apostolo Paolo predica e afferma: «La nostra dimora è nei cieli, da cui
attendiamo il Signore Gesù che trasformerà il nostro umile corpo nel suo corpo
glorioso»[56].
Anche il Cristo Signore promette che godremo di tale sorte, per godere della
visione del Padre e per essere con Lui e insieme a Lui nelle dimore eterne e
nel regno celeste, quando prega per noi dicendo: «O Padre, voglio che siano con me quelli che mi hai dato, quando io sarò
là e voglio che vedano la gloria che mi hai dato prima della creazione del
mondo»[57].
Chi è destinato a giungere alla dimora di Cristo, alla gloria del regno
celeste, non deve piangere o lamentarsi, ma essere felice per questa partenza e
questo trasferimento che avviene secondo la promessa del Signore, secondo la
verità di fede.
23 Sappiamo che anche Enoch, che piacque a
Dio, fu portato in cielo così come si testimonia nella Genesi e come afferma la
divina Scrittura: «Ed Enoch piacque a Dio
e in seguito non fu più ritrovato, perché Dio lo portò via con sé»[58].
Questa fu la conseguenza dell’essere gradito al cospetto di Dio e di avere
meritato di essere portato via dal contagio di questo mondo. Ma lo Spirito
Santo insegna per bocca di Salomone che coloro che piacciono a Dio, sono
sottratti più sollecitamente e liberati più velocemente dal mondo, perché non
siano contaminati dalle macchie del mondo, mentre restano più a lungo su questa
terra: «Fu rapito perché la malizia non
mutasse la sua mente. Infatti la sua anima era piaciuta a Dio. A causa di ciò
si affrettò a sottrarlo in mezzo all’iniquità»[59].
Così anche nei Salmi si affretta verso Dio con fede spirituale l’anima
consacrata a Dio, così come è scritto: «Quanto
sono amabili le tue dimore, Dio degli eserciti. La mia anima anela e si
affretta verso gli atri di Dio»[60].
24 Desidera restare a lungo in questo mondo
colui che lo ama e che ne è sedotto e ingannato dalle dolci lusinghe e dalle
dolci attrattive del piacere terreno. D’altra parte poiché il mondo odia il
cristiano, perché tu ami colui che ti odia e non segui piuttosto Cristo, che ti
ha redento e che ti ama? Nella sua lettera, Giovanni proclama e ci esorta a non
seguire il mondo e a non soddisfare i desideri della carne, dicendo: «Non amate il mondo né le cose che sono nel
mondo. Se qualcuno ama il mondo, in lui non c’è amore del Padre: perché ogni
cosa che è nel mondo, è concupiscenza della carne, concupiscenza degli occhi e
superbia del mondo che viene non dal Padre, ma dalla concupiscenza del mondo.
Passerà il mondo e la sua concupiscenza: ma chi ha fatto la volontà di Dio
rimarrà in eterno come anche Dio rimarrà in eterno»[61].
Piuttosto, amati fratelli, con animo fermo, con fede integra, con saldo
coraggio dobbiamo essere pronti a ogni volere di Dio, dobbiamo pensare
all’immortalità che seguirà, una volta eliminato il timore della morte. Dimostriamo
che questo è ciò che noi crediamo, così da non piangere la morte dei nostri
cari; quando sia giunto il giorno della partenza di ognuno di noi, senza
esitazione e volentieri possiamo giungere da Dio, nel momento in cui Egli ci
chiama.
25 Dal momento che i servi di Dio dovranno
sempre comportarsi così, a maggior ragione ora, perché il mondo sta ormai crollando
ed è accerchiato dalle bufere dei mali che lo infestano, in modo tale che noi
ci rendiamo conto che i mali adesso hanno avuto inizio; sappiamo inoltre che ne
incombono di peggiori e perciò consideriamo un grandissimo vantaggio se ci
allontaniamo da qui il più in fretta possibile[62].
Se nella tua casa le pareti oscillassero sotto il peso degli anni, se il tetto
dall’alto tremasse, se la tua casa, ormai decadente e logorata nelle fondamenta
vacillanti per la vecchiaia, minacciasse una rovina imminente, forse non te ne
allontaneresti il più velocemente possibile? Se, mentre navighi, una tempesta
violenta e impetuosa preannunciasse un naufragio, dal momento che le onde si
sono sollevate più velocemente, forse non cercheresti più rapidamente un porto?
Ed ecco che il mondo vacilla, ondeggia, e testimonia che la sua rovina è
vicina, non perché è vecchio, ma perché le sue opere sono giunte alla fine. E tu
non ringrazi Dio, non ti rallegri del fatto che ti sei liberato dei naufragi e
delle sventure incombenti, dal momento che ti sei sottratto in tempo alle
disgrazie che ci circondano?
26 Amati fratelli, dobbiamo riflettere e
meditare spesso sul fatto che noi abbiamo rinunciato al mondo e che viviamo
sulla terra come ospiti e pellegrini temporanei. Dobbiamo abbracciare con gioia
quel giorno che assegna i singoli uomini alla loro dimora.Quel giorno che riconduce
al paradiso e al regno dei cieli noi che siamo stati tolti da qui e liberati
dalle catene del mondo. Chi, stabilitosi in terra straniera, non anela a
tornare presso nella sua patria? Chi, affrettandosi a navigare verso i suoi
cari, non desidera molto ardentemente un vento favorevole, per poterli
abbracciare al più presto? Noi, che consideriamo come nostra patria il paradiso
e i patriarchi come i nostri parenti: perché non ci affrettiamo e corriamo, per
vedere la nostra patria e salutare i nostri familiari? Lì ci attende un gran
numero di persone care, una folla numerosa di genitori, fratelli, figli ci
aspetta, ormai sicura della propria incolumità ma ancora preoccupata della
nostra salvezza. Quanta gioia sarà in comune fra noi e loro, come sarà bello
giungere di fronte a loro e abbracciarli; quale godimento del regno celeste ci
sarà, senza il timore della morte! Quanto grande, enorme ed eterna felicità ci
sarà, nel vivere per sempre! Lì il glorioso coro degli apostoli, lì la folla
dei profeti esultanti, lì la moltitudine innumerevole dei martiri, che ha
conseguito la corona e la vittoria sulle passioni, lì trionfano le vergini che
sottomisero la concupiscenza della carne alla forza della continenza, lì i
misericordiosi, ricompensati per i loro meriti, i quali fecero opere di
giustizia, donando cibo e denaro ai poveri: tutti quelli che osservano i
comandamenti del Signore, perché trasferirono i loro beni terreni nel tesoro
celeste, sono lì in trionfo. Carissimi fratelli, affrettiamoci con ardore da
costoro, dal momento che desideriamo essere in loro compagnia, dal momento che
questo ci permette di giungere presto a Cristo.
Veda
Iddio questo nostro proposito, possa Cristo osservare questo progetto
che alberga nel nostro cuore e nella nostra mente; Lui che donerà le ricompense
più grandi del suo amore a coloro che hanno maggiormente desiderato di essere
con Lui.
+
Tascio Cecilio Cipriano
Arcivescovo
di Cartagine
Lettera
pastorale per l’anno 252
[1]Nm
21,4-9.
[2]
Sap 16,6-7.
[3]Gv
3,14.
[4]Gv
3,17.
[5]Gv
19,37.
[6] P. Stancari, Nel deserto,
Rubbettino, Soveria Mannelli 2007, p. 135.
[7]Eb 12,2.
[8]Ponzio, Vita Cipriani, tr. it. in Vite
dei santi, a cura di C. Mohrmann,
Mondadori, Milano 1997, pp. 4-49.
[9] Cfr. Girolamo, De
virisillustribus, 67.
[10] Cfr. Acta Cipriani, tr. it. in Atti
e passioni dei martiri, Mondadori, Milano 2001, pp. 193-231.
[11] Cfr. Vita Cipriani 5, 1.
[12] Occorre riconoscere che in
questi diciotto secoli, a differenza del mondo pagano dell’epoca di Cipriano,
il cristianesimo ha saputo operare una trasformazione dei cuori. Commuove
vedere la grande dedizione e abnegazione di medici, infermieri, addetti alle
forze dell’ordine e alla rivendita di prodotti alimentare, e di tanti altri
ancora che, a diverso titolo, si spendono per i malati dei nostri giorni. A
fronte di questa grande carità non mancano, allora come oggi, tanti arraffoni e
approfittatori che, dentro e fuori dalla chiesa, pensano solo al proprio interesse
e tornaconto.
[14] Cfr. Acta Cipriani 4.
[15] Cfr. Cipriano di Cartagine, De
mortalitate, in Corpus Christianorum.
Series Latina, 3,3, a cura di W.
Hartel, Brepols, Turnhout 1871.
[16]Di
fronte all’imperversare della pestilenza, la maggior parte dei credenti resta
salda nella fede e non si fa scoraggiare dai tristi eventi del momento
presente. Vi sono alcuni che però sono spaventati e hanno bisogno di conforto.
A costoro è rivolto il pensiero di Cipriano, che intende porre fine al loro scoraggiamento,
dimostrando tramite le Scritture che non c’è nulla da temere.
[17] Cfr. Mt 24,6.
[18]Cfr. Mt 24.
[19] Lc 21,31
[20] Cfr. Mt 24,35.
[21]Rm 1,17.
[22] Nelle Sacre Scritture questo
mondo è descritto come dominato dal principe del male, cfr. Gv 12,13. Sul tema
dell’anticristo, sempre così frainteso, si veda il bellissimo: V. Solov’ëv, I tre dialoghi e il racconto dell’anticristo, a cura di M. Di Monte, Fede&Cultura, Verona
2019.
[23] Lc 2,25.
[24] Lc 2,29-30.
[25]Non si deve avere paura della
morte; infatti costituisce soltanto il passaggio dagli affanni di questa terra,
alla tranquillità eterna. Basta attenderla con la stessa serenità con la quale
l’aspettò il giusto Simeone.
[26]Gv 16,20.
[27]Gv 16,22.
[28]Gv 14,28.
[29] I cristiani sanno che la vera
vita non è in questo mondo, ma nel regno dei Cieli. Per questo non piangono la
morte dei loro cari: essi li hanno solo preceduti nella dimora promessa dal Signore
ai veri credenti.
[30]Fil 1,21.
[31] La prima nascita è quella
terrena; la seconda nascita è quella spirituale, che Cristo ci ha donato con il
santo battesimo.
[32]
Sir 2,1.
[33]
Sir 2,4-5.
[34]
Gb 1,21.
[36]
Gb 1,8.
[37]
Tb 2,14.
[38]
Tb 12,11-15.
[39]
Nm 17,25.
[40]
Sal 50,19.
[41] Dt 8,2.
[42]Dt 13,4.
[43]Cfr. Gn 22,1ss.
[44] La
perdita di un figlio a causa della pestilenza è una prova che un cristiano può
sostenere grazie all’aiuto e al conforto della fede; Abramo dimostrò una fede
ancora più grande, perché a lui fu richiesto di uccidere suo figlio. Di
conseguenza non l’avrebbe perduto per cause naturali come può accadere a
chiunque affronti le tribolazioni presenti in questo mondo.
[45] Cfr. At 27,1.
[46] 2Cor
12,7-9.
[47] Sir
27,5.
[48] In
questo capitolo sono descritti in modo dettagliato gli effetti della peste
nelle persone che ne sono colpite. La malattia causa un terribile e lento
deterioramento del corpo, che spesso si accompagna alla perdita delle membra
per la cancrena o allamenomazione della vista e dell’udito. L’esito è sempre
mortale. Il cristiano deve sopportare questa prova, consapevole della forza
della sua fede e della ricompensa che lo attende, dopo tanta sofferenza.
[49] Cioè la morte eterna.
[50]Il martirio è un dono concesso da
Dio; non può essere né scelto né preteso. In ogni caso il Signore premierà
sicuramente la fede e il coraggio di quel cristiano che Egli vede pronto
all’estremo sacrificio.
[51]Ap 2,23.
[52] Si riferisce qui alla preghiera
del Padre nostro: «sia fatta la tua volontà, come in cielo così
in terra».
[53] A sostegno delle sue
affermazioni, Cipriano narra l’apparizione di un angelo a un sacerdote che
stava per morire e che aveva paura di allontanarsi da questo mondo.
[54] 1Ts 4,13-14.
[55]Gv 11,25-26.
[56] Fil 3,20-21.
[57]Gv 17,24.
[58]Gn 5,24.
[59]Sap4,11.14.
[60]Sal83,2.3.
[61] 1Gv 2,15-17.
[62] La morte evita ai cristiani di
assistere alla fine del mondo ormai imminente; il mondo sta crollando,
assediato dai mali che lo opprimono e che lo indeboliscono sempre di più.
Commenti
Posta un commento