L’atto
del camminare immerge in una forma attiva di meditazione che sollecita la partecipazione
di tutti i sensi: si cammina per nessun motivo, per il piacere di gustare il
tempo che passa, per scoprire luoghi e volti sconosciuti, o anche,
semplicemente, per rispondere al richiamo della strada. Camminare è un modo
tranquillo per reinventare il tempo e lo spazio. Prevede una lieta umiltà
davanti al mondo e davanti a Dio.
Aristotele insegnava
camminando sotto i portici del Liceo e i suoi allievi si chiamavano peripatetici, dal greco
peripatein (passeggiare), proprio per
questo. I sofisti invece si spostavano a piedi di città in città per insegnare
la retorica. Socrate amava camminare e dialogare e gli stoici discutevano
di filosofia passeggiando sotto la Stoa,
i portici di Atene. Nella Grecia classica il luogo di pellegrinaggio più famoso
era Delfi dove si andava per ricevere i responsi della Pizia. Da allora
camminare è diventato un atto rivoluzionario, quasi eversivo. Qualcuno ha
scritto che un viaggio di mille chilometri comincia sempre con un passo. Il
primo passo. Che poi è l’unico che conta perché senza il primo, come per il
respiro, non ce ne saranno altri, perché segna un distacco dalla vita di tutti
i giorni, dagli affetti, dalle comodità, dalla propria casa, dal lavoro.
Camminare
definisce una soglia tra un prima e un dopo, oltrepassata la quale si entra in
una vita dove non si è nessuno, dove si cammina nel regno dell’incognito. David Herbert Lawrence scriveva:
“Sospesi tra l’identità passata e quella futura si vive in uno stato liminale
di continua potenzialità. La casa dell’anima non è in Paradiso, ma nella strada
aperta. L’unica cosa da fare è mettersi liberamente in cammino. Il viaggiare
per una strada aperta, esposti a ogni contatto, incontrando chiunque venga per
via, accompagnandosi a coloro che sono sospinti nello stesso senso, senza
scopo, su due lenti piedi, per la strada aperta…”. Il tempo gli appartiene, e non
ne è più schiavo. Come il Gesù di Christian Bobin in
“L’uomo che cammina” (Qiqajon 1998): “Va qui e poi là. Trascorre
la propria vita su sessanta chilometri di lunghezza e trenta di larghezza. E
cammina. Senza sosta. Si direbbe che il riposo gli sia vietato. Quello che si
sa di lui lo si deve a un libro. Se avessimo un orecchio un po’ più fine
potremmo fare a meno di quel libro e ricevere sue notizie ascoltando il canto
dei granelli di sabbia sollevati dai suoi piedi nudi”.
Tra
il mese di luglio e quello di agosto anche io ho intrapreso l’avventura del
cammino. Mi sono fatto pellegrino. In solitaria.
Finita
finalmente l’università mi domandavo cosa fare realmente della mia vita, quale
direzione di senso intraprendere. Annaspavo nell'inedia e nello sconforto.
In
un colloquio con padre Michele, uno di quei colloqui in cui si esce con le ossa
un po’ rotte – come Giacobbe dopo la lotta con Dio –, mi ha proposto di fare un
pellegrinaggio a Santiago de Compostela, sulla tomba di san Giacomo apostolo.
Inizialmente avevo scartato la cosa senza tropi pensieri. Camminare non fa per
me, mi dicevo. Poi, mentre tornavo a casa, appena fuori dalle gallerie della
Valsassina, mi sono detto: ok, parto!
Ci
ho pensato e pregato su per qualche tempo, mi sono organizzato e finalmente
sono tornato da padre Michele, all’Eremo degli angeli, per chiedere la sua
benedizione.
“Padre
cosa devo portarmi?”.
“Farei
come il pellegrino russo: una Bibbia, un pezzo di pane e la Filocalia. L’ultima
te la do’ io, tieni. Il resto te porterai tu da casa e te lo provvederà Dio”.
E
così sono partito, come un pellegrino d’altri tempi (o quasi!). Tante paure,
tanti pensieri, tante aspettative. Ho scoperto che Dio non mi aspettava alla
fine del cammino, ma che camminava con me (già da 24 anni!!!).
Ho
cercato, nei limiti del possibile, di fare il cammino in modo solitario. Miei
compagni sono stati i Vangeli (che ho letto per intero per la prima volta nella
mia vita!!!) e La Filocalia occidentalis. I volti e le parole di questi uomini
mi hanno aiutato a ritrovare me stesso, ma soprattutto a ritrovare Dio.
Ho
sperimentato come le voci di questi uomini in cammino si aprano veramente alla
comprensione di chi legge solo se si accoglie la fatica di mettersi in viaggio,
come loro.
Sono
tornato certamente cambiato da questo viaggio. Non so ancora cosa accadrà della
mia vita, ma una cosa è certa: che non voglio smettere di camminare.
Anche
adesso, che sono ritornato a casa, non smetto di leggere la Bibbia e La
filocalia (entrambi un po’… vissuti, anche a causa delle piogge prese e che non
hanno risparmiato neanche i due preziosi volumi…. Ma questo non diciamo al padre!!!), nella speranza di potermi
realmente fare compagno di viaggio dei protagonisti di quelle straordinarie
avventure.
Anche
a te, che magari sei pellegrino senza saperlo, consiglio la lettura di questi
due straordinari libri. La meta è uguale per tutti, speriamo di incrociarci
lungo il cammino.
Certamente,
se percorreremo la strada fino in fondo, ci vedremo all’arrivo.
M. B.
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