Per
sua natura l’anima è razionale, intellettuale e spirituale. È stata creata dal
suo saggio Autore senza le passioni che accecano la sua vista divina[1].
È, per fare un esempio, come un specchio lucido e senza macchia che possiede
per sua natura lo splendore e la purezza. Come lo specchio può essere
imbrattato esternamente da qualche sporcizia e il suo splendore ne viene
oscurato, allo stesso modo, per la trasgressione del primo precetto, l’anima,
educata per la vista, è stata macchiata dall'immondizia del peccato; tuttavia
solo esternamente e non nella sua natura:
perché il peccato non ha una tale forza da poter corrompere e cambiare
la natura stessa dell’anima, ma può operare su di lei solo esternamente, con
una sozzura accidentale[2],
e la sua vista spirituale, che fa parte della natura della sua creazione, si
riduce senza tuttavia annullarsi, esattamente come si riduce la purezza dello
specchio[3].
Quando
ha ben compreso ciò, l’uomo, che acceso dai movimenti naturali della sua bontà
ha lasciato il mondo e preferito il silenzio per amore del bene primitivo, si
applica in ogni modo a lucidare e pulire lo specchio della sua anima
dall’esecrabile sporcizia per la quale è accecato l’occhio limpido del suo
giudizio. Secondo il consiglio degli anziani, conformemente al loro
insegnamento, applica alla superficie dello specchio alcuni unguenti che
esteriormente sembrano soltanto offuscarlo: sono i lavori fisici che trascinano
l’anima con essi, e che, a causa delle lotte legate a queste fatiche, sono
considerati esteriormente come delle afflizioni per l’anima. E ciò avviene per
tutto il tempo in cui l’uomo permane nelle operazioni corporali e nelle fatiche
che convengono a questo grado, finché, per la sua perseveranza, i combattimenti
siano cessati e le passioni si siano spente. Poi, come una polvere secca il cui
sfregamento fa brillare la lucentezza dello specchio, i lavori intellettuali
danno a quest’uomo ciò che può dirigerlo nella sua via, affinché faccia
brillare lo specchio della sua anima: questi lavori ristabiliscono l’uomo nella
natura della sua creazione originaria. È il grado dell’operazione dell’anima.
In questo grado si fanno i prodigi, i miracoli e le guarigioni dei malati:
tutte cose che sono state accordate dalla Provvidenza in favore degli infedeli,
secondo la parola del predicatore veritiero.
Come
lo sfregamento assiduo dello specchio con la materia secca lo riporta alla sua
natura originaria e ritrova il suo splendore senza macchia: allo stesso modo
anche l’anima razionale, dedita alle opere intellettuali nel grado
dell’operazione dell’anima, è sempre più educata da questa ascesi costante, al
punto da innalzarsi al di sopra del grado del primo uomo. È ciò che è chiamato
dai saggi la scienza seconda della natura: è la scienza che conviene al grado
dell’operazione dell’anima e che conduce questa al grado della spiritualità,
che era manifestamente di Cristo nostro Signore fin dal principio.
In
quanto alla scienza prima della natura, che è comunicata in questo grado
all’intelligenza: non ne parlo, fratelli miei, perché non si acquista con le
lotte, ma con l’amore. Allora, al posto di essere un taumaturgo, l’uomo diventa
un «veggente» dei misteri divini; e
da allora non è più chiamato taumaturgo, né «veggente», ma veramente «conoscente»,
perché la vista che gli è comunicata in questo grado raggiunge la conoscenza
perfetta. Nel grado dell’operazione dell’anima, la vista e la scienza sono sì
date, ma solamente in parte e non nella pienezza della scienza come in questo
grado superiore.
Dunque,
il dono dei prodigi e dei miracoli appartiene al primo ed al secondo grado; la
visione al grado dell’operazione dell’anima e, in parte e debolmente, anche al
primo grado; ma la conoscenza intuitiva e la visione che gli sono proprie sono
comunicate dall’amore nel grado della spiritualità, e solamente parzialmente
nel grado precedente, e del tutto debolmente nel primo. Dunque, la visione è
preferibile all’operazione dei prodigi, e la scienza supera la visione. Un «conoscente» che si era rivestito di
Cristo[4],
ha detto: «conoscere molto è vedere»; e parimenti: «Non ogni operatore di
prodigi è un vedente, ma ogni vedente è operatore di prodigi». Ed ecco
perché dico, ed è vero, che la visione è di molto superiore all’operazione dei
prodigi, in quanto quella rinchiude anche questa. Ecco perché il monaco «conoscente» non si applica mai
all’operazione di prodigi se non per necessità e per gli afflitti. Lavora per
la scienza e non per fare prodigi. E poiché questa scienza racchiude le altre due
qualità, ossia la visione e l’operazione dei prodigi, colui che la possiede non
è più come un uomo ma come Dio; e un po’ come Dio, la sua misericordia e la sua
carità non sono più interessate, ma si distendono a tutti e a tutto,
esattamente come Dio ama tutto, ed ama l’universo intero senza alcun merito da
parte di questo. L’uomo offre se stesso a Dio come ostia volontaria in
sacrificio di soddisfazione. Per umiltà, che è la medesima del Cristo, offre se
stesso e tutte le sue sofferenze per ciascuno, perché la sua carità si distende
a tutti. Soffre e sopporta tutto nel suo amore divino, e non è difficile ai
suoi occhi nemmeno gettarsi nel fuoco per tutti, a causa del suo amore
universale.
Questa
cosa è ben conosciuta da colui che l’ha provata in se stesso, e che l’ha
acquistata per l’amore nella scienza perfetta. È veramente la perla preziosa,
il tesoro sublime che è nascosto nell’anima e che si trova dentro di lei e non
fuori. È il regno celeste che si trova dentro all’anima[5],
dal quale non si allontana ed in cui abita e si muove. Per questa scienza,
l’uomo acquista la libertà dei figli per la quale chiama Dio Padre: «Padre
nostro», e diventa l’erede della sua gloria ed il coerede di nostro Signore
Gesù Cristo[6]. In
questa libertà, offre in sacrificio a Dio, come un’ostia vivente, le sue
fatiche e le buone opere dei suoi figli, e coraggiosamente, in questa libertà
dei figli, dice: «Eccomi, Signore, con i figli che mi hai dato, puri ed
immacolati, esalanti un soave odore, per il tuo buono piacere».
Ora,
il mirabile uomo di cui parliamo è salito per questi gradi e per questa scala;
ha camminato per le diverse tappe e le contemplazioni che si incontrano, fino a
trovare questa perla nella cittadella della sua anima; ovvero fino a che la sua
anima non si stabilì nella natura della sua creazione originaria, trovando in
lei la scienza prima della natura. Fu al tempo stesso «conoscente», «vedente» e
«taumaturgo», acquistandosi l’amore,
la carità distesa e disinteressata, l’umiltà, la pazienza, la misericordia e
l’abnegazione di sé, a imitazione di Cristo nostro Signore.
Ed
io, miserabile ed insensato, mi preparo a far conoscere, con il mio discorso
debole e rozzo, questo uomo e, per
quanto possibile, alcuni dei miracoli e dei prodigi che nostro Signore operò
per le sue mani; e affinché si conosca anche la divina visione intellettuale di
cui era favorito, che, come ho detto, è
molto più perfetta del dono dei miracoli, esporrò alcuni esempi: quelli di cui
sono stato testimone e quelli che ho appreso negli anni dallo stesso R.
Giuseppe. Parlerò anche della sua umiltà, della sua pazienza, del suo amore e
della sua misericordia; ma, in realtà, ciò che mostrerò di tutte queste virtù
non è che una goccia dell’oceano, perché non sono stato con lui fin dal
principio e non ho potuto apprendere tutto ciò che il Cristo ha operato
attraverso le sue mani. Ma agli uomini intelligenti basteranno queste piccole
cose per afferrare e comprendere la grandezza di quest’uomo di Dio.
[tratto
da: Rabban Busnaya, Ed. Praglia]
[1] La
sua facoltà di vedere Dio.
[2]
Letteralmente: senza natura né sostanza.
[3]
Concetto noto a tutta la teologia patristica, si veda ad esempio: Origene, Omelie sulla Genesi, 13,4: «“Facciamo
l’uomo a nostra immagine e somiglianza”. Il Figlio di Dio è il pittore di
questa immagine, poiché tale e così grande è il pittore, la sua immagine può
essere oscurata a causa della negligenza, ma non può essere cancellata a causa
della malvagità. Infatti l’immagine divina rimane sempre in te, anche se tu vi
sovrapponi da arte tua l’immagine del terrestre (il diavolo). Tu stesso dipingi
per te questa pittura. Quando ti offusca la libidine, vi hai introdotto un
colore terrestre; se poi bruci per l’avarizia, ve ne hai mescolato un altro; se
l’ira ti rende sanguigno, vi aggiungi anche un terzo colore. Pure la superbia
vi aggiunge un’altra tinta, e l’empietà un’altra; e così attraverso queste
singole specie di malvagità, quasi fossero ammassati diversi colori, tu stesso
dipingi per te questa immagine del terrestre, che Dio non ha creato in te.
Pertanto noi dobbiamo supplicare colui che dice per mezzo del profeta: “Ecco,
io dissipo le tue iniquità come nube e i tuoi peccati come caligine” (Is
44,22). E quando avrò distrutto in te tutti questi colori, che sono stati
tratti dalle tinte della malvagità, allora risplenderà in te quella immagine
che da Dio è stata creata».
[4] Rom 13, 11s.; Gal 3,27.
[5] Cfr. Lc 17,21.
[6] Cfr.
Rom 7,15.
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