Recensione di
M. Geltrude Arioli
Monastero San Benedetto, Milano
Dall’antico
manoscritto n. 467 della Biblioteca vaticana (completato con un manoscritto del
Monastero di Mar
Hormizd redatto nel 1055) è stata compiuta una traduzione in francese da p.
J.B.Chabod nel 1897. Titolo:Vita
di Rabban Giuseppe Busnaya redatto in uno stile semplice da Giovanni di Kaldun,
suo discepolo.
Poco
si conosce dell’autore se non che, istantemente pregato dall’amico Elias,
probabilmente superiore del Monastero
(vicino a Mosul) scrisse in stile narrativo la vita e gli insegnamenti di
Rabban Giuseppe Busnaya suo
maestro, considerato santo. Giuseppe nacque intorno all’anno 869 nel villaggio
di Beit-‘Edrai vicino a
Mosul.
Busnaya è il nome datogli per ricordare il luogo di provenienza. Figlio di
genitori santi, pieni di carità
e di amore alla Chiesa, rimase presto orfano di padre e si dedicò
all’educazione dei tre fratelli e della sorella.
Solo dopo i trent’anni, vinte le resistenze della madre, poté dedicarsi alla
vita monastica per quattro anni
vissuta nell’obbedienza cenobitica nel monastero di Mar Hormizd, poi nella
solitudine eremitica.
Anche
sua madre e i fratelli in seguito si consacrarono a Dio nella vita monastica e
quando morì suo fratello Gabriele,
divenuto superiore del monastero di Beit Cayaré, egli fu costretto a
succedergli, dopo aver più volte
rifiutato di accettare la dignità vescovile. Svolse con il massimo zelo il suo
compito di maestro e morì a
circa 110. Il traduttore di questa biografia illustra in una interessante
introduzione il contesto storico, culturale,
teologico ed ecclesiale che caratterizza l’ambiente dei nestoriani, cui
appartenne G. Busnaya: un mondo
ricco di profonda spiritualità monastica e di fedeltà alla Chiesa.
Il
discepolo che ha potuto sentire dalla viva voce di Rabban Giuseppe i suoi
insegnamenti e condividere al sua
vita santa assistendo alla sua morte, introduce lo scritto con un umile
dichiarazione di indegnità, scrivendo
per pura obbedienza e affidandosi alla guida dello Spirito di Dio cui rivolge
una supplica commovente.
Il
racconto della vita è completo: parte dall’infanzia, dalla famiglia,
dall’esempio dei genitori eroicamente generosi
nell’esercizio delle opere di misericordia, fino a vivere il miracolo divino
della moltiplicazione del frumento
durante una grave carestia. Vengono mirabilmente delineate anche le figure
della sorella e dei fratelli.
A trent’anni G. inizia la vita monastica a Mar Hormizd, vivendo poi dodici anni
di vita solitaria. A malincuore
Giuseppe deve obbedire dopo aver vissuto complessivamente trent’anni a mar
Hormizd, al desiderio
dei confratelli che vogliono si trasferisca al monastero di Mar Abramo a
Beit-Cayaré, dove suo fratello
Gabriele era divenuto monaco e poi superiore. Dotto nelle scienze divine,
desideroso solo di contemplazione
e di solitudine, Rabban Giuseppe tenta persino di fingersi sordo per non dover
accettare visite
e colloqui nella sua cella, ma la sua vita di dura penitenza, di veglie e di
preghiera non poteva rimanere
ignorata a causa dei prodigi che egli compiva e delle straordinarie esperienze
mistiche che invano egli
cercava di tenere nascoste. Il narratore traccia nel corso del racconto il
profilo di altre figure di santi monaci,
narra vicende di dolorose di ostilità contro persone sante; particolarmente
toccante la narrazione del tentativo
di avvelenamento da parte di fratelli invidiosi, di Rabban Giuseppe, che
tuttavia, pur soffrendo fisicamente
e moralmente, riesce a sopravvivere alcuni anni. Commuove la sua preghiera a
Dio di lasciarlo in
vita finché il suo diletto discepolo Giovanni abbia completato la sua
formazione. Questi lo accompagna con
devozione filiale fino al suo trapasso, straordinario per gli eventi misteriosi
e gli interventi divini che lo caratterizzano.
La semplicità del racconto non impedisce a Giovanni di esprimere con organica
completezza e
stile luminoso la dottrina spirituale del maestro. Anche se il contesto è tanto
diverso da quello della vita secolare
di un cristiano, si riceve luce da espressioni come queste: “Sforzati di far
sgorgare lacrime dai tuoi occhi,
non dico quelle che vengono dalla contemplazione dei misteri divini, né quelle
che procedono dall’afflizione
e dal dolore, ma le lacrime causate dal timore e dall’abbandono; perché quando
il Signore vedrà
le tue lacrime, manderà ai tuoi santi angeli di guardarti dal timore della
notte terribile ...” (p.246) .
Oppure
sul silenzio: “nel silenzio l’anima vedrà i suoi peccati e conoscerà se stessa,
l’uomo comprenderà quanto
è grande la misericordia di Dio ... Al di fuori del silenzio, l’uomo non sa
nemmeno quale sia il suo proprio
stato; egli pecca e non lo sa, non si purifica e si crede giusto, perché non
vede i suoi peccati” (p. 256).
Sull’umiltà: “ l’umiltà è l’abito di Cristo nostro Signore (cfr. Isacco di
Ninive)... è l’umiltà che rende virtuose
le opere virtuose. Anzi le opere virtuose, come il silenzio, il digiuno che
santifica, le orazioni, l’ufficio
e anche le opere buone che non sono compiute per umiltà o con umiltà sono vane,
nocive, dannose e
contrarie alla pratica delle virtù ... sii dolce ed erediterai la terra
promessa; acquista l’amabilità e ti troverai
davanti a Cristo ...” (pp. 266-267). Un altro passo che ricorda per affinità
Isacco il Siro: “La misericordia
è ‘immagine di Dio e l’uomo misericordioso, è, in verità, un Dio che abita
sulla terra ... L’uomo
che nel suo cuore ha pietà dei suoi simili è reputato misericordioso davanti a
Dio ... l’uomo può essere
misericordioso anche se non possiede nulla, perché misericordioso nel cuore”
(pp.268-269).
Indipendentemente
dalle pratiche di vita legate alla condizione eremitica le luminose idee di
saggezza che leggiamo
in questo libro possono aiutare il cammino di vita di cristiana di chiunque
abbia sincero desiderio di
autenticità e di trasparenza evangelica.
Dunque
non possiamo che rallegrarci ed essere grati al curatore per la sua fatica e
agli editori per il coraggio di
diffondere opere che, non adeguandosi ai gusti superficiali dei più, stimolano
l’impegno spirituale di chi desidera
vivere in pienezza la vocazione battesimale.
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